Bach e la Pasqua, Bach e il sacro


Può una cultura originariamente cattolica, com'è quella italiana, comprendere a fondo la sacralità, ora dichiarata ora implicita, della musica bachiana, nata da un terreno di cultura protestante e da una fede luterana vissuta intensissimamente dal compositore e dalla sua cerchia di familiari, amici, committenti, mecenati spesso avari? Ci sembra che la domanda abbia poco rilievo, poiché è nostra convinzione che la presenza del sacro nella musica non sia una materia specifica, ma un'essenza connaturata. Siamo persuasi che la musica sia tanto più "sacra" quanto più alta è la sua qualità di linguaggio e la sua dignità; estetica, ossia, in breve, quando la musica è bella tout court, e crediamo che quest'arte, più che sacra, sia divina quando lungo la scala della bellezza raggiunge il sublime; e che, al contrario, sia "profana", anzi peccaminosa, triviale, e oscena, quando è brutta. Perciò è sacra la musica di Tristan und Isolde e della Rhapsody in blue, mentre è profana e rea di peccato mortale contro l'estetica la partitura del Requiem composto nel 1791 da Franz Anton Rossler in morte di Mozart.
Addirittura sacrilega e malavitosa è tutta la sedicente musica che oggi si ascolta nelle chiese cattoliche: un reato di atti osceni in luogo liturgico, contro il quale dovrebbe intervenire la magistratura con avvisi di garanzia. Proponiamo subito un esempio che riguarda Bach. Chi frequenti le chiese cattoliche sa a sue spese che durante la messe viene spesso eseguita una tremenda canzoncina con parole italiane dagli accenti tutti a casaccio "Noi celebriamo lode a te,/ Padre che dai la vi-i-ta,/ fonte d'eterna càrita,/ trìnita infini-i-ta". Ci aspetteremo il finale zum-zum di piatti e grancassa. Quelle parole melense sono cantate (si fa per dire) su una melodia lagnosa piatta dalla deprimente bruttezza. Eppure, è la deformazione ritmica e la banalizzazione armonica di una melodia bellissima e illustre: il corale detto in tedesco "Genfer Psalter" e in francese "Psautier de Geneve", cioè Salterio di Ginevra (1532) utilizzato da Bach nella cantata "Herr Gott, dich loben alle wir" BWV 130. Il corale era già stato oggetto di rielaborazioni: famosa affascinante quella realizzata da Mendelssohn, apostolo dell'arte di Bach, nel suo trio op. 66 (1845), il cui Finale cita, nel momento della massima tensione drammatica e contrappuntistica, le quattro semifrasi che costituiscono il motivo fondamentale dell'antico "Psalter", esposte dai due archi m isolate come marmorei frammenti e intervallate da interventi del pianoforte ricchi di colore romantico. Mendelssohn conserva l'importante connotato di sacra solennità dovuto all'incipit in levare, mentre il delinquenziale scempio perpetrato della canzoncina parrocchiale distrugge tutto già da principio banalizzando l'incipit, che è collocato in battere, e corrompendo di conseguenza tutta la struttura ritmica del corale. Né Mendelssohn né l'innominabile odierno rielaboratore cattolico lasciano immutata la semifrase conclusiva, la quarta nel corale originario. Ma Mendelssohn aggiunge tensione romantica di alta qualità; emotiva: sdoppia quella semifrase (sì che il motivo risulta di cinque semifrasi), crea suspense, conclude il quarto frammento non con la cadenza perfetta bensì con la cadenza evitata (un accordo di settima sul sesto grado della tonalità in atto), e chiude il periodo armonico alla fine del quinto frammento. Da canto suo, l'innominando pasticciatore parrocchiale ha conservato la scansiono in quattro semifrasi, ma l'ultima è dissacrata nella sua solennità invece di discendere con severa maestà, come avviene nel Psalter (e nella quinta semifrase di Mendelssohn), ha un guizzo ascendente civettuolo e volgare e infine discende sulla cadenza perfetta. Un bell'esempio di sacrilegio musicale.

Quirino Principe


in "Il Sole 24 ore", domenica 23 aprile 2000