ORGANO E LITURGIA DOPO IL CONCILIO VATICANO II

di Fausto Caporali

 


Funzioni culturali dell’organo

E’ nota l’insensibilità di alcuni illustri organisti (e di riflesso delle schiere di loro allievi) nei confronti della Liturgia rinnovata, nella quale, a loro dire, non sarebbe possibile una qualità musicale superiore né tantomeno l’esplicazione di un magistero artistico e dove il ruolo del musicista non verrebbe favorito e incrementato, ma impedito dall’inconsistenza del suo impiego o dalla mancata valorizzazione delle sue risorse culturali. A ben vedere, questa è la posizione di chi, formatosi nello studio della musica del passato, pretenderebbe di adattare la liturgia e i suoi tempi alla cultura di cui si sente alfiere e non concede che la Liturgia anteponga qualche difficoltà all’esecuzione di quelle stesse musiche. Non è un caso che, sull’onda delle ricostruzioni storiche, si giunga qualche volta a forzare l’ambientazione liturgica, pur nella piena legittimità, per ottenere il ripristino di quel connubio ideale che esisteva fra liturgia e musica nei secoli passati; come pure si assiste alla ricostruzione in sede concertistica di tratti di liturgia per ricreare in toto un momento di rivisitazione storico – artistico di alto contenuto spirituale. Se è vero che queste posizioni rappresentano una estremizzazione dei termini della questione, è vero d’alta parte che il moderno organista preferisce considerare il concerto solistico come luogo di maggiore realizzazione della propria attività artistica; la sua preparazione si muove principalmente in quella direzione e il suo servizio nella liturgia è visto come un completamento non necessario che non incide sul suo curriculum se non occasionalmente.


Questa è la conseguenza di un processo culturale che, affondando le radici nella rivalutazione del passato iniziata nell’ottocento e affinatosi con l’oggettivismo filologico in auge da qualche decennio a questa parte, ha portato alla riproposizione dei repertori e degli strumenti che testimoniano il passato, i quali, secondo questa concezione, vanno rispettati in ogni loro particolare e riportati integri all’attenzione del moderno ascoltatore; se vi aggiungiamo l’idea dell’unicità irripetibile dell’opera d’arte, dell’intangibilità della musica del passato perché testimonianza di altri tempi, del reperto storico come simbolo mitico di una testimonianza di civiltà e della venerazione incondizionata dei grandi del passato, ne risulta un concetto di opera d’arte quale oggetto da considerarsi in se, esclusivo e autosufficiente, cui ogni contorno risulta superfluo per la comprensione dell’opera stessa. Lo sganciamento poi della musica dal ruolo di riempimento funzionale (fino a Mozart) per assumere quello di comunicazione personale, di espressione individualistica (da Beethoven in poi) e di reportage storico (concerti odierni), ha fatto sì che l’organista d’oggi possa esimersi, svolgendo comunque un compito altissimo e senza che si senta sminuito nel suo operare, dal mettere a disposizione del culto l’arte di cui si fa interprete. La musica che egli esegue può essere considerata oggi significativa in se stessa e – in questo secolo soprattutto - orgogliosamente indipendente da una destinazione pratica.


Non è qui il caso di addentrarsi in un’analisi particolareggiata dello stato attuale della musica organistica in rapporto al mondo contemporaneo, ma a nostro avviso, lo scopo eminentemente culturale che ha una impostazione simile di intendere l’organo sta correndo il rischio di non avere presa nei confronti di una cultura che si muove su tutt’altre vie e non comprende a fondo il senso delle ricostruzioni dei conservatori delle reliquie del passato quali sono in sostanza i moderni filologi, la cui raffinatezza di conoscenze si rivolge sempre più a un mondo accademico a se stante.


Se un tempo l’organo era il referente privilegiato per la diffusione spicciola della cultura musicale (con i conseguenti alti e bassi) e quindi godeva di indubbio credito presso musicisti e pubblico (“il principe degli strumenti”), oggi vede invece quella stessa importanza sminuita dalla carenza di connessione con la realtà moderna e dalla sua quasi scomparsa nel mare magnum della musica d’oggi; se la figura dell’organista fino a qualche decennio fa aveva uno spicco e una visibilità rilevanti nel microcosmo culturale locale e nazionale, oggi può vantare, al confronto, una nicchia di ben modesta consistenza; i risvolti economici lo confermano chiaramente. Dopo aver perso il punto di riferimento istituzionale rappresentato dalla Chiesa intesa quale commissionatrice e patrocinatrice dell’arte, sia per ragioni storiche di evoluzione (con l’accento posto dal Concilio sulla priorità della solidarietà, sulla convinzione e partecipazione personale, sulla valorizzazione dei carismi, e così via), sia per sopravvenute ragioni economiche, l’organista si è trovato a dover ricercare una realizzazione artistica nel concerto, più appoggiandosi su realtà locali favorevoli che non su una considerazione generalmente condivisa, mentre il nuovo modo di intendere la liturgia non ha ancora chiarito fino a che punto vi sia bisogno dell’arte all’interno di una celebrazione. L’assenza di una tradizione organistica di rilievo, inoltre, ha favorito la ricerca di un recupero dell’antico o lo studio di repertori i più disparati, creando un generale disorientamento dell’organista italiano che si è ritrovato sempre meno sicuro del suo ruolo.


Sembra, a nostro avviso, che la strada del recupero filologico non porti se non verso una chiusura settoriale e specialistica in cui la funzione dell’organo risulta esaurita su una posizione di restauro di reperti museali destinati alla cultura e, in qualche modo, decontestualizzati. Occorre forse percorrere, a completamento di quella funzione, una strada meno scontata e più personale, in cui l’organo, rivalutato nella considerazione della sua funzionalità pratica, possa trovare una nuova e più incisiva configurazione artistica.


Organo e creatività


Nel momento in cui gli studi e i curricula – peraltro in maniera giustamente laica - vengono convogliati verso il concertismo o verso l’esecuzione e la creatività viene pressoché esclusa, come sta avvenendo nella più recente generazione di organisti, viene intorpidita quella stessa tensione creativa che ha generato i brani musicali del passato e che permette di creare il futuro; se non si attivano modalità più creative di intendere la funzione dell’organo si corre il rischio di ripercorrere in maniera sempre più standardizzata i repertori del passato e di fermare l’organo in uno sterile sfasamento spazio - temporale.


L’organista dunque può assumere oggi la posizione di esperto culturale e agire positivamente sulla cultura musicale odierna come conservatore del patrimonio del passato, ma occorre anche che provi altre vie che siano più in sintonia con la storia dello strumento: sintonia non nel senso della riproposizione estatica di quel passato inseguito con la lente del filologo, ma nel senso della presa di coscienza della funzione di elemento interagente con la realtà odierna per proseguire la storia dell’organo senza tradirne le peculiarità.


Se vi è stato, specie a partire dalla seconda metà dell’ottocento, un filone compositivo che ha usato l’organo in maniera paraliturgica (da Frank in poi, per esempio), e cioè in modo genericamente svincolato dalla Liturgia ma pur sempre in sintonia con la nobile compostezza dell’organo, è altrettanto vero che non si è sviluppato nessun filone apprezzabile di musica organistica assolutamente indipendente da una destinazione cultuale.


In definitiva, mentre non sembra possibile prescindere dal connubio millenario fra organo e Liturgia o, quantomeno, fra organo e ispirazione sacra, poiché il suono stesso di questo strumento rimanda a un’ambientazione e ad una utilizzazione intrisa di sacralità, si fa strada la necessità di cercare un nuovo che da una parte sottragga l’organista dagli impasse filologici (ricerca di fedeltà all’originale comunque impossibili a dimostrarsi o da attuare, studio di repertori che non si adattano agli organi, esecuzione di musiche lontane dal tempo moderno) e dall’altra sia espressione di un inserimento nella realtà odierna, sia essa liturgica o spirituale in senso lato. La funzionalità pratica dell’organista può costituire un punto di partenza di una prospettiva rivolta al futuro più che non la raffinata preziosità dell’arte per l’arte; probabilmente, come la letteratura organistica del passato è cresciuta nel servizio al culto divino, così occorrerà cercare ancora lì qualcosa che dia un motivo d’essere all’organo e alla sua musica; e come nel passato la varietà di atteggiamenti umani è stata filtrata nella musica d’organo in virtù della liturgia o degli atteggiamenti che da essa scaturiscono, così quegli stessi, immutabili nella sostanza, aspettano oggi, una loro espressione attuale.


Se si analizza anche sommariamente la realtà che ci circonda (cultura del pensiero frammentato, esposizione al flusso del molteplice, disgregazione della percezione, ecc., e, nel campo dell’arte, estetica del quotidiano, semplificazione consumistica dell’arte, esposizione alla pluralità delle tipologie artistiche e delle occasioni d’ascolto, tecnologizzazione della fruizione, cultura della non-memoria, ecc.), appare sempre meno esaustiva, anche se importante, l’idea di considerare in maniera esclusiva l’arte organistica come espressione di una attività solamente culturale e come luogo elitario di comunicazione; nel gioco di rimandi con la contemporaneità, i contenuti immutabili della liturgia offrono tuttora la possibilità all’organista di cercare una propria configurazione artistica che si avvalga dei nuovi stili fruitivi: proprio la sua funzionalità può dare maggior senso al suo esserci e proprio la ricerca di assunzioni dalla realtà può rappresentare una via per produrre nuove musiche.


Funzionalità dell’organo


Ecco quindi che il nodo cruciale diventa: è possibile essere artisti nella liturgia domenicale e impiegarvi quell’insieme di nozioni che rendono altamente qualificato un apporto musicale? L’organista, nel momento in cui si inserisce nel rito in simbiosi con gli altri ministri, può contribuirvi con il meglio del proprio sapere musicale? C’è ancora spazio per comporre musiche che, nell’esprimere ciò che il rito attualizza, costituiscano il senso di una poetica inserita nell’oggi?
La risposta non può che essere affermativa, a patto che quella stessa concezione dell’organista che s’è visto più sopra, e che oggi appare preponderante in Italia, venga rimessa in discussione e completata. In altre parole, se l’organista, utilizzando l’enorme bagaglio di conoscenze di cui oggi dispone, arriva a rifondare il suo agire in vista di una propria creatività applicata alla liturgia, giungerà a dare un significato nuovo a ciò che esegue e arriverà a comprendere come poteva agire un artista del passato nel momento in cui redigeva le sue opere; la stragrande musica organistica giunta a noi aveva come prima ed esclusiva destinazione l’illustrazione di un momento liturgico e in questo dovrebbe costituire un esempio di comportamento più che vedersi limitata a oggetto di studio prevalentemente musicologico.

Il primo vero problema che si pone all’organista sulla sua strada è il nodo tutt’altro che scontato di una somma di disponibilità sia di tipo culturale che di tipo economico che si devono instaurare fra chi presiede il rito e lui stesso che deve prestare un servizio, disponibilità che devono provenire dalla consapevolezza del valore del canto e della musica per la Liturgia e dalla necessità di rendere flessibile, completo e approfondito il proprio operare.


Nel momento in cui viene raggiunto un punto d’incontro equilibrato e rispettoso dei diversi ruoli, allora l’organista sarà nelle condizioni di inserirsi da ministro, quale è lui stesso in simbiosi con gli altri ministri, nello svolgersi del rito, sia in termini di occasioni che di tempi che di utilizzo di competenze a largo raggio.
Se il clima che si instaura è positivo, quell’insieme di repertori e di nozioni che costituiscono il sapere dell’organista d’oggi e che spesso si crede non possano entrare nel ruolo dell’organista di chiesa, possono diventare momenti qualificanti di un servizio; dai brani prima della messa o alla conclusione del rito, alle meditazioni dopo l’omelia o dopo una lettura fino a un brano prima del canto di comunione o per l’offertorio, il tempo a disposizione e le opportunità per intervenire non mancano e, se vi sono intese preventive sulla durata, possono anche essere proposti brani di notevole respiro.


Connotati artistico-liturgici della funzione dell’organo


Tutto ciò rende necessaria una preventiva riflessione da parte dell’organista della natura di ciascuna celebrazione e della peculiarità di ciascuno dei momenti che si susseguono nel rito: essere eccellenti organisti non basta, anche se è importante; è necessario, e qui si raggiunge il nocciolo dell’essere musicisti per la Liturgia, che l’organista, anziché sentirsi costretto in spazi antiartistici, si disponga a cercare le possibilità di attualizzare in forme adeguate le parti della liturgia che per statuto gli competono; in sostanza, egli, istruito da una formazione liturgica approfondita e aggiornata, deve giungere a correlarsi con gli altri ministeri in un reciproco scambio di competenze e a fare del suo operare non un contenitore di opere d’arte avulse dal rito, ma un contributo organico e plastico, che sia espressione dell’invito “cantate inni a Dio con arte”.


E’ a questo punto che la scelta di musiche deve modellarsi non sul rito genericamente, ma su “quel” rito particolare, con le peculiarità derivate dal tempo liturgico, dai testi propri, dalle tipologie dei singoli momenti, e via dicendo; l’organista esecutore potrà ricorrere a quei brani che si collegano ai canti impiegati o, in assenza del canto, a quei brani che si adattino alla tematica liturgica in atto. Se la ricerca di affinità musicali è meno agevole per l’organista esecutore ( ricerca continua di brani nuovi, mancanza di brani ispirati a canti moderni, brani non adatti alle risorse dell’organo…), una buona dose di creatività sembra essere il mezzo migliore per attuare una correlazione che sia frutto di particolari attenzione a ciò che il rito esprime e attualizza.


Altro è cercare una generica connessione alla Liturgia con l’esecuzione di musiche d’autore – ciò che è comunque positivo, ma nelle quali l’aderenza alla liturgia spesso è forzata se non impossibile, come nel caso dei corali di Bach, assoluti capolavori che semplicemente annunciavano il corale da cantare o ne svolgevano i contenuti e che avrebbero la migliore realizzazione se eseguiti prima o dopo il canto del corale stesso - altro è ricercare quali mezzi sono più idonei per esprimere un momento liturgico o per suonare attorno a un canto appropriato alla solennità. Qui si gioca l’insieme di nozioni dell’organista liturgico, il quale, dalla conoscenza puntuale della liturgia e con l’attivazione della sua creatività, arriva a fondere servizio e cultura, realizzando una sintesi che si configura di volta in volta secondo le necessità individuate.
In pratica, egli si comporta come il compositore di colonne sonore che, in base all’immagine o al pathos che deve sottolineare, ricerca i suoni più adatti a quella determinata situazione.


Un problema culturale che sembra paralizzare la creatività dell’organista, e che spesso lo allontana dall’affrontare il nuovo, è quello del linguaggio da adottare: moderno, dissonante, classico, d’avanguardia, tonale, atonale? La casistica è talmente varia da spaventare lo studio delle peculiarità di ciascuna tipologia espressiva e induce l’organista a ricorrere all’esecuzione dei repertori del passato, con la conseguente difficoltà di trovare autentiche corrispondenze con la liturgia. Quel poco di creatività che viene richiesto non è poi così impossibile a trovarsi se ci si impone un minimo di lavoro preparatorio e probabilmente renderebbe un po’ meno scontato il futuro dell’organo, se ci si concede qualche scarto inventivo sia nel comporre sia nel cercare nuovi suoni e non si cade inevitabilmente, come sta avvenendo nei nostri tempi, nello studio dell’esecuzione filologica e nella relativa riproposta di letteratura del passato. Per adottare un linguaggio musicale occorre attivare la sensibilità dell’organista e la sua capacità di vivificare il suo sapere; nessun linguaggio può essere escluso e tutti i linguaggi sono ammissibili: il punto di vista non è il linguaggio in se, ma che cosa deve esprimere e in quale momento della liturgia si inserisce; uno stile barocco può esprimere un momento di meditazione quanto un fascio di sonorità atonali, quello che importa è l’ambientazione che ne risulta che deve essere in sintonia con quanto sta accadendo nella liturgia. Un linguaggio può convivere con un qualsiasi altro, così come la nostra cultura è composita e resa ricca da tipi diversi di stimoli; lo stile può essere determinato dall’efficacia e dalla motivazione per cui è adottato. Lo stesso linguaggio della musica da film dimostra che il musicista creativo, senza preconcetti e senza chiusure ideologiche, può disporre di suoni in modo semplice ed efficace in vista di uno scopo effettistico ricorrendo alle più disparate tecniche musicali.


L’arte dell’improvvisazione è quella che più sa piegarsi e adattarsi alla liturgia e al canto sacro, e può diventare, se adeguata al contesto, interprete fedele e funzionale della Parola di Dio; ma non si deve dimenticare che è la composizione il punto più alto in cui convergono espressività e riflessione, luogo di sintesi estetica di un percorso di riflessione mistagogica. Ma, proprio qui vi è la nota dolente che riguarda la generazione organistica d’oggi: né l’improvvisazione né la composizione sono oggetto di adeguata cura nei curricula scolastici e ciò che hanno fatto sempre gli organisti del passato, e che era al primo posto del loro essere musicisti, è stato messo da parte per far posto alla conoscenza enciclopedica e oggettivistica del passato musicale. Quello che in apparenza sembra un’enorme arricchimento di conoscenze è in realtà un impoverimento di capacità, visto che senza il supporto di musiche scritte l’organista d’oggi molto spesso resta disorientato e inattivo.


Viene da domandarsi a questo punto se l’affermazione secondo cui la Liturgia non offrirebbe spazi adeguati al musicista-artista non derivi da una sostanziale incompatibilità fra l’artista di oggi e il servizio stesso, nel senso che sono necessarie proprio quelle capacità che il moderno musicista non coltiva; è evidente infatti che un esecutore non riesce facilmente ad adattarsi alla Liturgia perché molti suoi interventi non possono essere già predisposti o perché non sempre conosce in anticipo i canti o perché i tempi della celebrazione sono flessibili o, ancora, perché la sua biblioteca non è abbastanza fornita, con conseguenti ricerche o spese non indifferenti.


Se il suo ventaglio di capacità si amplia in tutte le direzioni, ogni modalità artistica trova la sua adeguata collocazione, pur con tutte le approssimazioni del caso, purché al fondo vi sia la consapevolezza della ricerca di una aderenza alla liturgia. Se guardiamo all’attività dei grandi artisti del passato, gli spazi di cui disponevano per intervenire sono più o meno gli stessi di oggi e se li imitiamo nello spirito e nelle abilità (non soltanto nel ripetere alla lettera la loro musica), si potranno trovare occasioni per espletare al meglio il proprio ministero, tanto nella ricerca di nuove forme musicali e di nuovi spazi ( in questi l’organista creativo che studia gli effetti dei suoni ha tutto da inventare e non può non sentirsi stimolato), tanto nell’esecuzione di grande letteratura.




La Liturgia rinnovata


Il Concilio Vaticano II, nella costituzione liturgica “Sacrosantum Concilium” ribadisce l’importanza dell’organo nelle celebrazioni:
“ Nella chiesa latina si abbia in grande onore l’organo a canne, strumento musicale tradizionale, il cui suono è in grado di aggiungere una notevole grandiosa solennità alle cerimonie della Chiesa e di elevare potentemente gli animi a Dio e alle cose celesti” (SC n° 120).
L’organista non svolge un semplice lavoro e non si limita a fornire un contributo artistico in senso lato, ma svolge un munus, un servizio, in quanto ministro:
“Nelle celebrazioni liturgiche ciascuno, ministro o semplice fedele, svolgendo il proprio ufficio si limiti a compiere tutto e soltanto ciò che, secondo la natura del rito e le norme liturgiche è di sua competenza” (SC n° 28).


Nella sostanza, il suo operare deve tradursi in una utilità comune che favorisca quegli stessi obiettivi che vengono attualizzati nella liturgia. Come ciascuna Liturgia è differente dall’altra, così la sua musica non può che ricercare la piena corrispondenza a ciò che di volta in volta viene esplicato nella Liturgia. L’ambientazione sonora che egli crea deve animare una celebrazione nel rispetto del progetto liturgico e deve fondersi con gli altri ministri per dare più vitalità, più colore, ed anche più ricchezza di segni al rito, applicando alla sequenza di gesti e movimenti una sorta di vitalità emotiva.


Se si considera il suono puro, è precisamente questa l’aggiunta della musica, cioè una sottolineatura estetico-emotiva capace di tradurre in un incanto lirico ciò che è contenuto in un momento liturgico; se si considera il suono in unione al canto, esso aggiunge una configurazione più significativa, attraverso il dosaggio delle sonorità organistiche che viene scelto in rapporto alla natura del momento liturgico o al carattere del canto.
“ E’ indispensabile che gli organisti e gli altri musicisti, oltre a possedere un’adeguata perizia nell’usare il loro strumento, conoscano e penetrino intimamente lo spirito della sacra liturgia in modo che, anche dovendo improvvisare, (…) favoriscano la partecipazione dei fedeli” (n° 67).


“ L’organista svolge un compito indispensabile alla comunità e offre un servizio specifico nel settore dell’animazione musicale. Oltre che possedere una adeguata perizia nell’usare lo strumento, deve conoscere e penetrare intimamente lo spirito della liturgia, con una preparazione spirituale e una ricchezza interiore. Assicuri il decoro delle celebrazioni, secondo la natura delle varie parti, e favorisca la partecipazione dei fedeli.” (Direttorio n° 43).


Se da un lato l’organista è chiamato a partecipare ai momenti formativi per dare spessore al suo servizio, dall’altro è opportuno che venga cercata e pretesa la qualità tecnica del servizio, la quale può dare sostanza alle competenze liturgiche e che deve essere all’altezza dello strumento impiegato (spesso organi di notevole importanza storica). Se lo strumento è valorizzato al meglio, anche il suo contributo al rito risulta meglio apprezzabile: “ Il parroco si faccia segnalare coloro che avessero particolari attitudini… ne curi la valorizzazione e preparazione, orientandoli a Istituti di musica sacra o a particolari iniziative formative diocesane” ( Direttorio n° 90). Un organista deve essere preparato a qualificare il servizio sia in ordine all’aderenza liturgica sia in ordine alla resa artistica di ogni esecuzione; all’interno delle sue competenze deve rientrare anche la cura e il mantenimento in efficienza dello strumento.


L’organo nel contesto liturgico


“ L’uso di strumenti musicali per accompagnare il canto, può sostenere le voci, facilitare la partecipazione e rendere più profonda l’unità dell’assemblea (…)” (MS n°64).
Gli elementi che “favoriscono la partecipazione dei fedeli” riguardanti il suono dell’organo (ciò che principalmente vi contribuisce è, ovviamente, il canto dell’assemblea), possono consistere nel creare il clima della festa, quale componente preziosa aggiunta alla celebrazione, nel sottolineare con la giusta ambientazione la natura di un rito (esequie, matrimonio, ecc.), nell’invitare al canto e nel farsi sostenitore della voce dell’assemblea; può stimolare con adeguate sonorità alla partecipazione a piena voce a un’acclamazione, per. es., o all’introspezione di un momento meditativo, può predisporre all’attenzione di qualche cosa che sta per avvenire, unificando le attese di chi assiste; può diventare rito esso stesso, se dopo una lettura o dopo l’omelia invita a ripensare quanto si è ascoltato, può rendere il carattere del canto attorno a cui si sviluppa con degli interventi appropriati e, mettendosi al servizio del testo, contribuire a rendere percepibile il momento spirituale.
Prima di pensare al rito come momento di esplicazione di una competenza tecnica e artistica è necessario curare la preparazione spirituale e liturgica in modo che l’artista si disponga a condividere la liturgia mettendo a disposizione il meglio del suo sapere (competenze professionali).


“Anche gli organisti appartengono a pieno titolo alla comunità cristiana e sono quindi tenuti a seguirne i ritmi formativi senza mai estraniarsi da essa” (Direttorio n°44).


Se l’obiettivo per una fruttuosa partecipazione è il cantare “la” liturgia ( e non “durante” la liturgia), la musica non è soltanto elemento ornamentale aggiunto o calato dall’alto, ma realizza di volta in volta il senso della celebrazione e facilitare la partecipazione significa favorire il ruolo dell’assemblea, vera protagonista della celebrazione.


Il canto nell’azione liturgica fa entrare in gioco l’organista nel servizio dell’accompagnamento. Normalmente questa funzione viene considerata come banale necessità, visto che la sua realizzazione è semplice; in realtà, diventa non solo importante perché, nel rendersi autentico “servizio”, l’organo annuncia, conduce e unifica il canto dell’assemblea, ma diventa spunto e stimolo per l’organista quando questi deve suonare intorno al canto, sia prima, con un preludio adatto, sia durante, con delle opportune variazioni, sia dopo, con una coda musicale o una improvvisazione di commento; sono tutte attività che non diventano più così ovvie e richiedono una adeguata perizia nell’arte di eseguire o di improvvisare e sono complementari alla semplice realizzazione dell’accompagnamento al canto.


Il preludio al canto: l’organista imposta la tonalità, l’agogica, l’intensità; può variare da una breve introduzione a un brano strutturato sia di esecuzione sia di improvvisazione.
L’interludio al canto: può intervenire all’interno di uno stesso canto, tra una strofa e l’altra; tra un ritornello e la strofa; fra un ritornello e l’altro, quando è presente un animatore musicalmente preparato. Può trovarsi tra due canti diversi quando la celebrazione ha bisogno di tempi lunghi.
Il postludio: può completare il tempo restato tra il termine di un canto e il termine del rito relativo; in questo caso il suono dell’organo continua le risonanze del senso del canto precedente. Al termine della Messa, dopo il congedo, l’organo può suonare in sostituzione di un eventuale canto (che in ogni caso risulterebbe troppo impegnativo per un’assemblea appena sciolta) e prolungare ad libitum il clima di festa.


La peculiarità di ogni canto esige un adeguato sostegno dello strumento:
“ Pertanto la partecipazione di tutto il popolo (…) si promuova con ogni cura, seguendo questo ordine: comprenda prima di tutto le acclamazioni, le risposte ai saluti del sacerdote e dei ministri e alle preghiere litaniche; inoltre le antifone e i salmi, i versetti intercalari o ritornelli, gli inni e i cantici” (MS n° 16).
Nel momento in cui accompagna, l’organo deve dosare il suono in vista del canto comune, in modo da non inibire le caratteristiche espressive di ogni tipo di intervento cantato: una cosa è il salmo responsoriale per es., un’altra l’acclamazione al Vangelo, una cosa è l’accompagnare la professione di fede, un’altra il Santo, ecc.
“ Tutti gli strumenti musicali ammessi al culto divino, si usino in modo da rispondere alle esigenze dell’azione sacra e servire al decoro del culto divino e alla edificazione dei fedeli” (MS n°63).


Interventi dell’organo nella Messa


L’organista può realizzare uno sfondo sonoro che si distingue a seconda se accompagna un’azione liturgica oppure se si accompagna alla Parola e a testi recitati.
Nel primo caso la musica deve essere autosufficiente e deve comunicare mediante i suoi tratti compositivi più strutturati (armonia, melodia, tema, contrappunti, ecc.); nel secondo deve solo mettere in rilievo con discrezione il testo che viene proclamato e non deve attrarre in maniera vistosa l’attenzione del fedele.
Più articolati sono gli interventi che si accompagnano ai diversi momenti rituali della Messa:
“ Gli stessi strumenti musicali, soli, possono suonarsi all’inizio, prima che il sacerdote si rechi all’altare, all’offertorio, alla comunione e al termine della Messa. (….) (MS n° 65).


Si tratta in questo caso di interventi più complessi, che devono prendere atto della funzione liturgica che assume a fianco del canto relativo ( o che possono sostituire in certe occasioni). All’inizio della celebrazione (eventualmente prima del canto, ma anche fra una strofa e l’altra del canto stesso), il suono dell’organo introduce nel mistero del tempo liturgico o della festività, favorisce il formarsi dell’assemblea, crea il clima di festa, stabilisce una netta differenza fra le situazioni “dentro” e quelle “fuori” dal luogo di culto, predispone e prepara alla celebrazione e conferisce il tono appropriato alla celebrazione; la sua funzione pratica è quella di annunciare il canto o di preparare il tono del canto e/o di accompagnare la processione del sacerdote e dei ministri e la sua configurazione dovrebbe essere quella di incastro coerente con il canto stesso.
All’offertorio, laddove siano previsti tempi abbastanza consistenti, si possono eseguire brani di ispirazione più libera, sottolineando il momento di apertura dell’Eucarestia e di presentazione dei doni con uno stacco musicale che distende l’attenzione prestata all’ascolto della Parola.

E’ noto che nel passato gli organisti hanno fiorito la Preghiera Eucaristica di Elevazioni e composizioni d’atmosfera che avevano lo scopo di sottolineare al fedele, più spesso senza l’esatta percezione di quanto stava avvenendo, l’importanza mistica del momento. Oggi si preferisce mettere in risalto il carattere di ringraziamento attraverso parole, gesti e interventi cantati, più che quello di incontro con il mistero. “Il popolo loda, fa memoria, offre, prega. Le preghiere dicono “noi” per evidenziare che è una preghiere dell’assemblea unita” (CeClM). L’uso del sottofondo musicale, dunque, non è in sintonia con il momento celebrativo. “La preghiera eucaristica esige che tutti l’ascoltino con rispetto e in silenzio” (PGMR 55).


Alla comunione può essere previsto uno spazio musicale che preceda il canto comunitario, nel caso che questi venga intonato una volta che si è ultimata la distribuzione della comunione; in questo caso, oltre alla funzione di annuncio e di preparazione tonale che necessariamente deve avere, il suono dell’organo, come tradizionalmente si è connotato, può aiutare a interiorizzare il momento liturgico e a disporsi alla preghiera. La stessa funzione può essere espletata con una coda musicale al canto quando questi è intonato durante la processione di comunione. L’ideale è l’esecuzione o l’improvvisazione di un brano attinente al tema del canto di comunione; può andar bene un brano opportunamente scelto dal repertorio organistico.
Al termine del rito il suono dell’organo può costituire un degno coronamento di una celebrazione: un brano adeguato ribadisce la particolarità della festa e contribuisce a prolungare il clima creato dall’acclamazione finale.


La casistica degli interventi va declinata a seconda dei diversi tempi dell’anno liturgico con le sue solennità e festività.
Vi sono periodi dell’anno liturgico in cui il suono contenuto o la assenza di suono dell’organo esprimono acusticamente il senso di attesa o il digiuno penitenziale:
“Nel tempo di Avvento si suonino l’organo e gli strumenti musicali e si orni l’altare di fiori con quella moderazione che corrisponde all’indole di questo tempo liturgico, senza anticipare la pienezza della gioia del Natale del Signore” (Caer. Episc. 236).
“Durante tutta la quaresima è permesso il suono dell’organo e degli altri strumenti musicali solo per sostenere il canto” (Caer. Episc. 41).

Diventa evidente che l’organista deve avere una competenza a largo raggio laddove è chiamato ad occuparsi di tutta la musica che interviene nella celebrazione o quantomeno per adattarsi alle caratteristiche di ogni momento in cui è chiamato ad intervenire; se invece opera all’interno di una équipe, deve vivere la responsabilità della regia in sintonia con gli altri:
“ La preparazione pratica di ogni celebrazione liturgica si faccia d’accordo tra tutti coloro che devono curare la parte rituale o pastorale del canto, sotto la guida del rettore della chiesa (…)” (MS n° 15).

Oltre ai momenti in cui l’organo accosta la sua voce al rito, vi possono essere interventi che fanno da semplice sottofondo alle parole che vengono proferite.
Il salmo responsoriale può avere una serie di intermezzi d’organo che fanno da ambientazione sonora alla lettura dei versetti fra un ritornello e l’altro; il suo significato potrebbe essere quello di sottolineare la natura lirica del salmo, nel quale la Parola di Dio assume un afflato poetico. L’importante è inserirsi con naturalezza nel commento e collegarsi con proprietà al momento in cui inizia il ritornello dell’assemblea.

Alcuni interventi sono di natura icastica, ossia brevi, concisi e particolarmente significativi, come il linguaggio dei jingles. Il suono, più che presentare strutture melodiche o tematiche definite, procede per macchie sonore o gesti ritmici densi di significato o accenni di melodie.
Breve intervento dopo la Colletta: per dare tempo all’assemblea di disporsi seduta, può essere utile dare un segnale sonoro di stacco e di annuncio, di richiamo all’attenzione.
Accoglienza del Lezionario o dell’Evangeliario: l’organo può sostenere con una registrazione e una agogica adeguatamente solenne il momento.
Meditazione dopo l’ascolto o dopo l’omelia: il suono contenuto dell’organo favorisce l’interiorizzazione, il riflettere individualmente la Parola appena udita.

Altri momenti:
Confessioni individuali nell’ambito di una celebrazione penitenziale comunitaria: un’adeguata scelta di brani organistici può creare il clima di interiorizzazione richiesto.
Momenti di adorazione: la contemplazione può essere opportunamente sottolineata dalle sonorità più contenute dell’organo.
Nei matrimoni: il suono dell’organo crea il clima di festa e contemporaneamente sottolinea la solennità e la sacralità del momento. L’organista deve sforzarsi di aiutare la partecipazione corale e la preghiera dell’assemblea e di contribuire a creare le occasioni per un servizio meno scontato. Il repertorio usuale, composto da brani tradizionalmente pressoché d’obbligo, può essere ampliato o rinnovato con altri di maggior coerenza stilistica.


L’organo in concerto


Il concerto organistico può essere il completamento di un servizio svolto con serietà e competenza.
Il concerto, istituzione relativamente recente se pensiamo che fino a tutto l’ottocento era da intendersi come musica d’ambiente sia nei teatri che nelle chiese e consisteva in sottofondi a riunioni religiose, a ritrovi sociali o a feste aristocratiche, è il luogo in cui si esplica maggiormente oggi la comunicazione culturale. L’importanza assunta nel corso del tempo ha indotto i musicisti a trovare in esso il luogo in cui estrinsecare il proprio sapere musicale, continuando la pratica ottocentesca che ne faceva il momento di esibizione del solista e di idealità in cui l’individuo si esprimeva come protagonista assoluto.


Benché oggi risulti sfrondato dagli aspetti più deliranti, il concerto mantiene, agli occhi dei musicisti d’oggi, l’aspetto di più alto contributo alla collettività; in realtà, poiché nel concerto d’oggi manca l’apporto creativo del musicista, essenziale fino agli inizi di questo secolo, questo si riduce oggi a pura trasmissione di cultura. Quello che era massima espressione del genio creatore ha assunto nel tempo il carattere del reportage storico. Da qui i rischi di un’applicazione esteriore dei brani eseguiti all’ambiente sacro, che ha portato, in qualche occasione, a considerare il concerto in chiesa come occasione di esecuzione musiche non attinenti all’ambiente stesso. Se l’artista svolge principalmente una missione culturale, è portato a valutare soprattutto i dati storici e a considerare il luogo in cui si trova come semplice contenitore d’ambiente.


Anche l’organo ha risentito di questa abitudine culturale e ha trasportato nelle chiese l’istituzione del concerto: se l’esecuzione del repertorio organistico è avvenuto nel passato, per la gran parte della sua produzione, attraverso la Liturgia, oggi si tende a sottoporlo all’attenzione dell’ascoltatore come creazione a se stante (l’arte per l’arte), mettendone in rilievo gli aspetti artistici. Nel caso dell’organo, se a volte il concetto di autoreferenzialità della musica traspare dalla preminenza degli aspetti musicali su quelli spirituali dei programmi di concerto, l’attinenza al luogo è, di norma, fuori discussione e la sua musica assume inevitabilmente una connotazione spirituale.


Condizione essenziale generale perché un concerto avvenga nelle chiese è che non vi sia discrepanza fra musica e luogo sacro, vuoi perché altri sono i luoghi reputati alla diffusione di musiche profane, vuoi perché non verrebbe rispettato il carattere sacro dell’ambiente chiesa. Per quanto riguarda l’organo, nel momento in cui si individuano degli spazi in cui inserire l’esecuzione di brani concertistici, può essere svolto un servizio che diventa mistagogico e culturale se tiene conto delle valenze spirituali della musica oltre che dei suoi valori tecnici.


“ Organizzazione e programmazione dei brani per i concerti nelle chiese siano in stretta relazione con le principale solennità dell’anno liturgico per stimolare i fedeli ad una più profonda conoscenza del mistero che si celebra. Pertanto, i concerti nelle chiese siano intesi piuttosto come elevazioni spirituali anziché esibizione di artisti e brani d’effetto.” (Direttorio n° 469).


Due sono gli aspetti che possono dare profondità al momento concertistico.
Riferimento liturgico: l’inserimento della musica nella preparazione delle principale feste liturgiche (Natale, Pasqua, ecc.) o per accompagnare i raduni che cadenzano determinati periodi dell’anno (Avvento, predicazioni quaresimali, ecc.). Testi biblici o poetici o omiletici non possono non trovare arricchimento dall’accostamento a brani musicali pertinenti, mentre il suono dell’organo non può non assumere più alte finalità in unione a quelli, rendendoli più penetranti.
Riferimento artistico culturale: si possono creare momenti di meditazione e di contemplazione della bellezza che favorisce la predisposizione a recepire i valori dello spirito; lo strumento organo fa parte dei tesori artistici della chiesa e ne ha sempre espresso i valori spirituali traducendoli in valori estetici; anche se in maniera meno mirata, con l’esecuzione di musiche religiose o di ispirazione religiosa diventa veicolo di comunicazione spirituale.


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