ORGANI STORICI RIMINESI

recensiti dal maestro

Massimo Pacifero

nel quotidiano

La VOCE di Romagna

all'interno dell'inserto "Uomini, Mare e Appennino"

pubblicati qui per cortese concessione dell'Editore

 

LAVOCE di Romagna
Rimini
Giovedì 10Novembre 2005
 
 
Scoprendo il suono antico dei Mulini
Continua il nostro viaggio alla scoperta degli strumenti antichi
 
 Massimo Pacifero


Nella Parrocchia di San Martino dei Mulini, nell'entroterra riminese, giace semi abbandonato  e senza nome un piccolo organo del settecento. Oggi di quegli antichi mulini, che traevano il loro moto circolare dalla forza delle acque del Marecchia, vi è rimasto solo il ricordo, e l'organo sembra essere  l'unico testimone di quei suggestivi giorni. Constatando alcuni tratti peculiari dello strumento, possiamo prudentemente affermare che "l'Organo dei Mulini" sia un prodotto della nostra locale arte organaria. Nella zona infatti, attorno alla fine del XVIII secolo, operavano due nostri organari conterranei: i fratelli Ricci da Verucchio. Nel XIX secolo l'organo è stato più volte rinnovato, probabilmente sempre ad opera di organari del luogo come Pietro Zanni di Rimini o, più probabilmente, Antonio Giulianelli di Monte Colombo. A rinforzare questa tesi (pur sempre con il beneficio del dubbio) è la dicitura "A.G. 1895" che abbiamo trovato scritta ad inchiostro sopra la bocca di una canna di basseria. Nel XX secolo, fin prima della Seconda Guerra Mondiale, lo strumento è stato poi completamente abbandonato a se stesso ma, ironia della sorte, le sue più grandi sventure iniziarono proprio dopo il tragico evento. Marmaglie di ragazzi sconsiderati, per gioco iniziarono a depredarlo di numerose canne. In seguito, gli interventi di restauro "all'Organo dei Mulini", sono stati eseguiti spesso in modo raffazzonato ed improvvisato, stravolgendone definitivamente l'originaria fisionomia. Dopo decenni di numerose trasformazioni e mutilazioni, l'organo fortunatamente (seppur in precarie condizioni) è ancora funzionante. L'organo (un positivo con canne di facciata disposte a cuspide, una tastiera di quarantacinque tasti e pedaliera di otto pedali) giace sul pavimento in un antro ricavato dall'abbattimento di una parete in occasione degli ultimi lavori di ristrutturazione della chiesa. Visto in quelle condizioni, più che un organo, ci è sembrato di vedere un grosso armadio. Tant'è vero che sulla parte sinistra della cassa è stato fissato un appendiabiti (ed un orologio) sul quale il celebrante appende i propri paramenti. L'organo è totalmente occultato alla vista dei fedeli, ed il suono, a causa dell'insolita locazione, disattende le più elementari leggi della fisica acustica. Ci avviciniamo con apprensione. Subito notiamo i segni di interventi non proprio filologici: la tastiera è chiusa da una piccola anta e, una volta aperta, troviamo una tastiera di fattura più moderna con tasti in legno ricoperti in osso. Sei dei quattordici pomelli dei registri sono di diversa forma, così pure alcuni occhielli per la chiusura del somiere. Alcune parti per la diffusione dell'aria e altre parti lignee dell'organo, sono state ricostruite con legno multistrato. Le meccaniche delle stecche non sono tutte uguali, due sono aggiunte e servono, in ordine, i seguenti registri: Tromba Bassi e Soprani, Principale, Vox Umana, Ottava, Flauto in duodecima, Decimaquinta, segue poi il ripieno fino alla Vigesimanona, infine troviamo l'ottavino e la cornetta. In totale tredici registri, più la Tromba al pedale. I Tromboncini sono stati asportati, stessa sorte è toccata anche alle Campanelle. I segni più evidenti di affrettati restauri li troviamo all'interno dello strumento: le condotte dell'aria sono state realizzate con grossi tubi di gomma saldamente fissate con fascette metalliche (né più né meno di come quelli che usano tutt'ora i vignaioli per il travaso del mosto). Inoltre il piede di una canna in legno tappata dell'ottava, è stata miseramente riparata con del cartone, delle garze invece ne fasciano il corpo, e "dulcis in fundo", della bambagia garantisce al vertice della canna la tenuta stagna del tappo. L'unico documento dell'organo che abbiamo rinvenuto, incollato sulla cassa fonoassorbente del motore elettrico, è un foglio scritto a macchina firmato il 20 settembre 1972 dall'allora parroco don Tamagnini Serafino. Nel documento apprendiamo che Padre Mario, Padre Romulado e fra Giuseppe "tedesco", intervennero a diverso titolo all'ultimo restauro (compreso il trasporto dell'organo dalla cantoria, posta sopra il portone d'ingresso, all'attuale posizione). Con nostra soddisfazione notiamo che molte parti dello strumento, come le catenacciature, le tavole di riduzione, il somiere principale, il mantice, la cassa e gran parte delle canne sono tutte originali. E' per questo motivo che vogliamo dare voce "all'Organo dei Mulini" lanciando un forte grido d'aiuto, nell'intento di spronare l'attuale Parroco don Arcangeli Giuseppe (e quanti possano contribuire ovviamente) a prodigarsi per il recupero di questo nostrano strumento, testimonianza viva della locale arte organaria e punto di riferimento dell'intera comunità. Sarebbe un dono gradito a tutti, entrando in futuro nella chiesa di San Martino, poter riascoltare l'antico suono "dell'Organo dei Mulini".

 


 

LaVOCE di Romagna
Rimini
giovedì 27 ottobre 2005

Un organo antico tra i segreti di Sant'Agostino
Le vecchie canne nascoste per decenni
 
 di Massimo Pacifero

 

La chiesa di Sant'Agostino ci aveva giˆ abituati ai suoi segreti e alle sue affascinantiÊ scoperte; ma che dietro una porta segreta, incastonata in una parete rivestita in legno, abilmente occultata fra giochi geometrici e decorazioni varie si celassero da decenni vecchie canne d'organo, questa proprio non ce l'aspettavamo. Quando il Parroco, Don Dino Paesani, ci rivel˜ il ritrovamento di alcune parti d'organo all'interno di un angusto nascondiglio, abbiamo avuto un tuffo al cuore. Tutti ricordano ancora il devastante incendio del 1965, data in cui and˜ completamente distrutto l'antico organo Callido. L'apprendere la notizia del ritrovamento di alcune parti di un antico strumento, riaccese le speranze di molti. I primi ad accorrere sul posto furono Mauro Ferrante (Sovrintendente degli Organi Antichi per le Regioni Marche ed Emilia Romagna) e Catia del Baldo (responsabile dei Beni Culturali della Diocesi di Rimini). Purtroppo le poche canne ritrovate si rivelarono di lamina zincata, e l'unico manufatto in legno (munito di un grosso tuboÊdi metallo), probabilmente adibito alla conduzione dell'aria, era stato ricavato da materiali di fortuna. La delusione fu grande: non si trattava dei resti dell'antico Callido, ma del pi recente organo Werner Emanuel Renkewitz. La ragione per la quale, dopo l'incendio non vi sia rimasta traccia delle pregiate canne Callidiane, va ricercata nelle leggi della fisica: le canne del Callido, essendoÊ in lega di stagno e piombo, si liquefarono letteralmente giˆ alla temperatura di trecento quattrocento gradi. La vita di Renkewitz si incroci˜ con la storia dell'organo di Sant'Agostino, fin dalla fine del secondo conflitto mondiale. Nel '45 a Bellaria fu allestito un campo di prigionia in cui furono rinchiusi all'incirca tremila tedeschi, fra cui il soldato Renkewitz. Pare che, nelle messe protestanti celebrate all'interno del campo, i detenuti sentissero fortemente la necessitˆ di accompagnare i canti con la musica. Renkewitz, nella sua forzata permanenza, decise che bisognava fare qualcosa. Aiutato dai suoi compagni raccolse a sŽ ogni tipo di materiale: casse di legno, bidoni, barattoli e costru“... un organo! Alla fine dei lavori l'allora vescovo, bened“ lo strumento munito di una tastiera a quattro ottave, dodici registri e quasi seicento canne. Non  un caso che da molti questo strumento venga conosciuto come "l'Organo dei Bidoni". Con il tempo Renkewitz si conquist˜ la stima di molti, compreso la fiducia della Diocesi che gli concesse, nel 1947, il permesso di trasportare lo strumento all'interno della chiesa di Sant'Agostino presso la quale potŽ allestire un proprio laboratorio. Qui la sua vita si intrecci˜ con il destino del Callido. Giuliano Venturini, oggi testimone di quegli anni lontani (al tempo vent'enne e assiduo frequentatore della Parrocchia di Sant'Agostino), ci raccont˜ come lui, e altriÊ parrocchiani, fossero spesso incaricati di azionare i mantici del Callido. Sovente si divertivano a far tremolare i mantici dello strumento ottenendo cos“ il fastidiosissimo effetto a "singhiozzo" (oltre che al trambusto di rabbiosi calci dell'organista scagliati contro la consolle). Forse quelli furono gli ultimi suoni di quel meraviglioso strumento. Nella Parrocchia, Venturini ebbe l'occasione di conoscere Renkewitz. Quest'ultimo gli confid˜ che per ottenere le misure della tastiera dello strumento da lui costruito, chiam˜ fra tutti i prigionieri quanti suonassero uno strumento a tastiera, ne confront˜ l'ampiezza delle loro mani nell'atto di suonare un'ottava, e infine, fece una media delle misure ottenute. In realtˆ la tastiera risult˜ un po' pi stretta. Renkewitz (racconta Venturini) affermava che per la costruzione del suo strumento aveva usato un "sistema nuovo", per il quale ad ogni tasto corrispondeva l'apertura di una serie di "somierini" (con questo termine si  espresso Venturini). Forse, intuiamo noi, si doveva trattare di un organo a trasmissione pneumatica. In futuro RenkewitzÊ ottenne anche delle nuove commissioni, fra cui l'ampliamento del Callido di Sant'Agostino, e fu il disastro! A memoria d'uomo, nessuno ricord˜ di averlo mai pi sentito suonare. Grazie alle ricerche di Andrea Angelini,  stato possibile ritrovare l'unica registrazione audio "dell'Organo dei Bidoni", e di conoscere Michael Gruber, personaggio tutt'ora in contatto con i reduci del campo di concentramento. Oggi l'intenzione di questi sopravvissuti sembra quella di voler donare alla cittˆ uno organo (questa volta vero!). Un dono che la cittˆ accoglierebbe certamente come sincero segno di comune fratellanza,Êe in memoria dei caduti, ma anche (aggiungiamo noi) come gesto riparatore: tutti infatti rimembrano ancora la repentina partenza di Renkewitz per la Germania nel 1952, lasciando molti lavori incompiuti e senza farne mai pi ritorno (non prima per˜ di aver riscosso una notevole somma dai propri acquirenti). Renkewitz era un'artista nel disfare e tagliar bidoni per farne canne d'organi, ma alla fine un bidone lo fece... e lo fece bello grande!


 

LAVOCE di Romagna
Rimini
Sabato 13 ottobre 2005
 
Alla scoperta dello strumento di San Giuliano
Una "storia dell'organaria" scritta in pizzeria
 
 di Massimo Pacifero


 
Qualche sera fa trasformammo una semplice serata fra amici in pizzeria, in una cena di lavoro. Fu così che fra una pizza, una birra e un caffè scrivemmo una “breve storia dell’organaria” della chiesa di San Giuliano Martire, situata a sinistra del porto canale di Rimini, nell’antico borgo di mare della nostra città. Quella sera portammo con noi quattro fotografie (gentilmente concesse dal Parroco Don Mario Antolini), raffiguranti altrettanti testi redatti in latino e italiano antico su cartigli tutt’ora incollati all’interno della seicentesca cassa dell’organo Sormani, dentro la quale Pinchi costruì, nel 1995, l’attuale organo meccanico. Appena seduti proponemmo i quattro testi ai nostri amici commensali. L’amico Enrico, memore di lontani giovanili studi classici, non ebbe difficoltà a decifrare il documento più antico, stampato in latino: “Opvus Ioannis Paptistæ Sormani Ariminensis Anno M.DC.X.XI”. Venimmo così a conoscenza che Giovanni Battista Sormani, organaro riminese, costruì nel 1621 il primo organo di cui si abbia notizia all’interno della chiesa di San Giuliano. Nel XVIII secolo uno dei fratelli Ricci di Verucchio (Domenico) costruì per l’Abate di San Giuliano un nuovo organo meccanico: “Hoc Organum fecit Domenicum Ricci a Verucchio Gubernante R.mo P.D. Placido Frontorio a Bononia Abbate S.Iuliani Anno 1779”. Anche di questo strumento rimane solo il testo di cui abbiamo appena detto. Ma, intanto ordiniamo pizze e birre per tutti! acqua e coca cola per le donne... nessuno è perfetto! Nell’attesa ci avvaliamo anche dell’esperienza di Daniele Salvatore, docente di contrappunto antico presso il Conservatorio di Pescara. Già avvezzo a decifrare antichi testi manoscritti sbiaditi dai secoli, riuscì a leggere, non senza qualche esitazione, il terzo cartiglio, scritto in corsivo, a mano libera, quasi di getto. Una volta letto si rivelò a noi una piacevole sorpresa: “Quest’Organo stato ristaurato col fagli i mantici nuovi la coperta di mezzo Somiere nuova ed i trasporti del fiato nuovi ed impellati di nuovo i Canali di Bassi il sud. Lavoro fatto da Gaetano Boninsegni Riminese per ordine del molto Rev.do Sig.re D. Gabriele Ravegnani paroco di S. Giuliano l’anno del Signore 1856 ai 18 di Giugno”. Non potevamo che compiacerci nell’annoverare fra i nostri concittadini un nuovo organaro. Intanto l’ora si fece tarda, e gli effetti dell’appetito non ancora appagato, fecero deviare più di una volta l’attenzione dei nostri improvvisati grafologi verso fragranti pizze destinate ahimè, ad altre tavolate. Freneticamente proponemmo l’ultimo scritto: troppo tardi! La cameriera sfidando le leggi di gravità, propose a noi alcune pizze in precario equilibrio. Al motto  “Desinare Necesse”, lasciammo carta e penna e brandemmo forchette e coltelli. Rifocillati, leggemmo l’ultimo documento che, scritto in elegante calligrafia, con tanto di timbro parrocchiale, ci regalò un’ultima sorpresa: “10 Agosto 1881 Il Sig.re Giulianelli Antonio Organaro di Monte Colombo ristaurò con tutta precisione ed esattezza quest’Organo per cura del Sig.re D. Gabriele Arcip.e Ravegnani Ad perpetuam rei Memoriam”. Scoprimmo così un altro organaro dell’entroterra riminese! non potemmo che brindare. Tutto il resto è storia dei giorni nostri. Negli anni novanta una famiglia benefattrice della parrocchia donò (pagando di tasca propria) l’attuale organo costruito nel 1995 “Op. 404” dalla ditta “Pinchi” di Foligno. Pinchi riutilizzò l’antica originale cassa armonica, ispirandosi sul modello del primo seicentesco organo “Sormani”. L’organo è un positivo, letteralmente incassato nella parete della cantoria, in alto a destra dell’Altare. Alle canne dei registri vi si accede dalla stanza attigua posteriore, aprendo due pesanti ante poste dietro allo strumento. Sul somiere (visto dall’interno) troviamo in ordine sette registri: vigesimaseconda, vigesimanona, decimaquinta, Flauto in XII, Ottava, Voce Umana e, per ultimo (con ventuno canne di facciata nella consueta disposizione a cuspide con ali) il Principale. Nella stanza sono collocati anche i due mantici a cuneo a quattro pieghe con stanga a leva (per l’alimentazione a mano) e l’elettroventola. La tastiera “scavezza” è formata da quarantasette tasti con copertina in bosso e frontalini con tre cerchi concentrici. I tasti cromatici non sono smussati ma dritti con copertina in ebano. La pedaliera a leggio di un’ottava, sempre collegata alla tastiera, è priva di registri propri. Lo strumento è perfettamente funzionante e l’impianto fonico si accorda perfettamente alle dimensioni della chiesa. L’unico inconveniente è il ridottissimo spazio disponibile nella cantoria: l’organista è praticamente incastrato fra la balaustra e la tastiera. L’organo Pinchi di San Giuliano Martire, è sì un organo “moderno” di ispirazione seicentesca, ma non per questo lo si deve considerare un falso, anzi! è una copia d’autore, un piccolo gioiello del passato costruito nel futuro.


Rimini
Sabato 22 settembre 2005
La vita nuova dell'organo di Sant'Ermete
Venne progettato dall'organaro riminese Pietro Zanni
 
 
di Massimo Pacifero




 


Evviva don Giuseppe Maioli, parroco della chiesa di Sant'Ermete. E’ proprio grazie all'amore della musica che don Giuseppe si porta nel cuore fin da bambino, da quando cioè pizzicò i primi suoni sul mandolino del padre, che noi oggi possiamo riascoltare antichi suoni d'organo: dall'agosto del duemila l'organo positivo della chiesa di Sant'Ermete, è tornato a far sentire la sua voce forse ancor meglio (osiamo dire) di come lo aveva progettato lo stesso Pietro Zanni, organaro riminese del XIX secolo. La passione per la musica di don Giuseppe Maioli, supportata dal contributo economico della Diocesi di Rimini, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini, e dalle generose offerte di  tutti i fedeli della parrocchia, ha reso possibile il ripristino dell'originaria fisionomia dello strumento. Il restauro, magistralmente eseguito da Mauro Baldazza di Longiano, è stato realizzato sotto la supervisione del dott. Oscar Mischiati (l'allora Ispettore Onorario per la tutela degli strumenti musicali). L' organo positivo di cui parliamo oggi, esattamente il n. 10 del 1863 di Pietro Zanni, in origine era collocato presso la chiesa parrocchiale di Vergiano poi, negli anni settanta, fu smontato e trasferito nell'attuale chiesa parrocchiale di Sant'Ermete. Nel suo breve viaggio, come per effetto di un terribile sortilegio, lo strumento subì una tremenda metamorfosi: la parte inferiore della cassa (probabilmente a causa dell'aggiunta dell'elettroventola e l'esclusione di uno dei due mantici a cuneo) fu tagliata e ridotta di un metro; il registro delle bellissime Trombe e del Clarino scomparvero lasciando il posto ad una discutibile "Voce Umana"; anche le "Campanine" (o Campanelle) assieme alle relative meccaniche svanirono nel nulla; intere tavole di legno pregiato della cassa armonica si trasformarono in tavole di legno truciolare e, per finire, le condotte dell'aria mutarono in tubi di plastica: materiali di basso costo per un danno di grande valore. Un disastro! Ciò che venne ricomposto nella nuova chiesa di Sant'Ermete fu una "creatura geneticamente modificata" che, ovviamente, dopo qualche anno mostrò i primi cedimenti. Nella relazione del sopralluogo eseguita dal Baldazza nel 1999, apprendiamo che lo strumento era praticamente insuonabile a causa di trasuoni, perdite d'aria, meccaniche ossidate, pessima intonazione, vibrazioni varie, rumorosità diffusa, tavole di truciolare deformate dall'umidità ecc. Ma il nostro giovane restauratore non si perse d'animo, e sotto la guida di due esperti del settore come il dott. Oscar Mischiati e il M° Mauro Ferrante si mise subito al lavoro. Dopo poco più di un anno ci riconsegnò uno strumento non solo perfettamente funzionante, ma ricostruito in tutte le parti asportate: nell'opera di restauro la cassa è stata ripristinata alle originarie misure con tavole di legno di abete; il mantice è stato ricollocato nella posizione originale, pitturato con terra rossa e rinnovato con pelli dello stesso tipo usando esclusivamente colla animale riscaldata; le condotte d'aria sono state ricostruite in legno; le Trombe sono state ricostruite sulla base dei fori sul crivello; il Clarino invece è stato ricostruito sul modello del Clarino del Callido di San Fortunato (anch'esso dallo Zanni); la tastiera in legno d'ebano e bosso di 50 tasti con prima ottava corta, è stata pulita, ristabilito il telaio e ricostruiti i frontalini mancanti; la pedaliera di 17 note con telaio in abete e pedali in faggio (verniciati in occasione del traslocco con smalto verde chiaro) è stata riparata e sverniciata; il somiere maestro (così come quello di basseria) in legno di noce è stato aperto e rinnovato nelle impellature dei ventilabri, delle cuffie e delle guarnizioni stagne; tutte le canne dei 17 registri (Ottavino Bassi e Soprani posto frontalmente su apposito crivello, Flauto in VIII, Trombe B. S., Campanine, Contrabbassi, Principale B. S., Ottava, Decimaquinta e ripieno fino alla Vigesimaseconda), sono state pulite, lavate con acqua, risollevate le ammaccature, riparati gli squarci e riportate all'antica intonazione. Le parti in legno sono state protette con cera d'api e sottoposte a trattamento antitarlo. Tutte le parti in metallo sono state disossidate. Lo strumento è stato collocato sul pavimento a destra dell'altare su apposita pedana. La spesa del restauro dell'organo, inaugurato il 7 ottobre 2000 dall'organista Andrea Macinanti, è stata poco più di venti milioni di lire: un vero miracolo! Per tutto questo diciamo ancora: “evviva don Maioli”. Certo, che ne sono passati di anni da quando don Giuseppe pizzicò i suoi primi suoni su quel mandolino. Ma... pensiamo noi: "se fosse questa la salvezza degli organi?" regaleremmo un mandolino a tutti!



Rimini
Sabato 3 settembre 2005
 
Uno splendido Zanin, il malato "principe" degli organi di Rimini
 
 di Massimo Pacifero


 
Riprendendo il nostro originario progetto alla scoperta degli antichi organi (e non) situati nelle chiese della Valmarecchia proseguiamo risalendo il corso del fiume Marecchia, contrastandone la corrente, fino a giungere alla sua sorgente, oppure al contrario, ci lasceremo scendere a valle, fin dove il fiume addolcisce a Rimini le acque del mar Adriatico, fermandoci ogni qualvolta ci venga segnalata una chiesa in cui dimori un organo sia esso funzionante, bisognoso di cure , distrutto dal tempo o dall'incuria dell'uomo. Riprendiamo oggi da Rimini. Visiteremo l'organo meccanico della chiesa del Suffragio costruito nel 1976 dalla ditta Franz Zanin di Udine. Lo strumento è stato costruito sopra alcune parti del preesistente organo settecentesco del famoso organaro Gaetano Callìdo, situato sopra il portone d'ingresso. Diciamo subito che: "se l'organo è il re degli strumenti", l'organo del Suffragio è il "principe" degli organi di Rimini. Le mani dei più illustri organisti si sono sempre trovate a loro agio su queste tastiere sia con autori di epoca antica e barocca, sia con autori del periodo classico e, (addirittura) moderno. Questo prezioso strumento è infatti l'espressione di un progetto meccanico-sonoro unico e versatile nel suo genere. Ma, qui, prima che ce lo dimentichiamo, ricordiamo che anche le macchine più perfette devono essere periodicamente revisionate: dopo quasi trent'anni di incontrastato splendore, la corona del nostro principe si è ormai appannata. Qualche ansimante suono  accompagna ormai da troppo tempo troppe canne stonate (e scusate il gioco di parole). A far suonare le più di 1300 canne dello strumento, sono state predisposte due tastiere di 61 tasti, una pedaliera di 32 tasti, 18 registri, tre somieri e una potente elettroventola per dar aria ai due mantici. I materiali impiegati per la costruzione, sono di ottima qualità: legno d'abete e bosso per le tastiere, legno di faggio per la pedaliera ricoperta in rovere scuro, acciaio per le catenacciature, fili d'ottone per le trasmissioni e l'apertura dei ventilabri. Le canne interne sono state costruite secondo un'antica lega di stagno e piombo; quelle di facciata, disposte nella tradizionale forma a cuspide con ali, sono di stagno. Le canne dei contrabbassi sono costruite in legno di abete guarnite con legno di noce. La consolle è protetta da due ante con chiusura a chiave ed è spostata a destra per lasciare spazio al "positivo", posizionato a sinistra rispetto all'organista. L'organo della chiesa del Suffragio di Rimini si presente come un'autentica macchina sonora, supportata da una "meccanica" che, oseremo dire, rasenta la perfezione. Zanin nel suo progetto afferma che lo strumento è stato concepito secondo un metodo di "trasmissione a sistema meccanico puro ed integrale". Lo strumento è stato costruito secondo l'arte organaria più tradizionale, tramite un gioco ad incastro di leve, fili di metallo, asticelle di legno, pomelli, pedaletti, tavole di trasmissione e congegni vari. Citiamo solo due caratteristiche di pura meccanica: l'unione delle due tastiere detta a "cassettone" (sistema per mezzo del quale l'organista fa scorrere la seconda tastiera avanti e indietro, come un cassetto appunto, per incastrarla alla prima), e la possibilità di creare una eventuale registrazione libera tramite i pomelli dei registri ruotabili su se stessi, disposti su due file a destra, e una fila a sinistra rispetto alle tastiere. I diciotto registri permettono l'esecuzione di un vasto repertorio. Le file di ripieno "spezzato" fino alla vigesimaseconda, e i registri solistici come il flauto reale, flauto in ottava, flauto in duodecima, ottavino e la voce umana, rendono possibile l'esecuzione di gran parte del repertorio antico italiano; i contrabbassi, il ripieno combinato e la sesquialtera, sono invece necessari per le musiche di autori fiamminghi; le ance della tromba e del trombone, sono indispensabili per il repertorio francese e spagnolo. Il programma del primo concerto d'organo inserito nella prestigiosa "Sagra Musicale Malatestiana", che si tenne il 20 agosto del 1976, comprese musiche di Domenico Zipoli, Wolfgang Amadeus Mozart, Franz Liszt, Tommaso Albinoni e, naturalmente, l'immancabile Johann Sebastian Bach. Nelle "Sagre Musicali Malatestiane" degli anni successivi, troviamo musiche di autori come: Andrea e Giovanni Gabrieli, Antonio Vivaldi, Baldassarre Galuppi e Girolamo Frescobaldi; oppure autori francesi come Francois Couperin e Louis-Nicolas Clérambault; infine: Johann Gottfried Walther, Dietrich Buxtheude, Jan Pieterszoon Sweelinck quali rappresentanti della musica del nord d'Europa. Tutti magistralmente interpretati da organisti italiani e stranieri di indiscussa fama mondiale: Marcello Girotto, Rino Rizzato, Stefano Innocenti, Giorgio Carnini, Gian Paolo Ferrari, Maria Grazia Filippi, Francesco Finotti, Francesco Tasini, Alfonso Fedi, il nostro concittadino Luigi Ferdinando Tagliavini, Jànos Sebestyen, Leopoldas Digris, Wijnand Van de Pol, Christopfher Stembridge, Jean-Claude Zehnder, Rudolf Ewerhard, Kenneth Gilbert, Liuwe Taminga. Quelli furono gli anni ruggenti del nostro "principe". Poi, dal 1986, lento ma inesorabile fu il declino. Attualmente, la voce non più chiara e la corona  ormai appanna del principe, confermano la malattia. Non occorrono orecchi da professionisti per rendersene conto: chiunque, ascoltandone il suono, comprenderebbe le ragioni e la necessità di un ricovero. L'organo Zanin della chiesa del Suffragio, il "principe" degli organi di Rimini, è malato: presto, bisogna intervenire! prima che sia troppo tardi...



Rimini
Sabato 20 Agosto 2005
 
" Andar per organi in Romagna: a Cervia una 'storia degli orrori' "
 
 
 di
Massimo Pacifero


 
Non guardate dietro a quel muro! Questo potrebbe sembrare il titolo di un misterioso giallo oppure di un film dell'orrore. Ciò che stiamo per raccontarvi è in effetti (per gli organisti e per gli amanti del "Re degli Strumenti") l'ennesima storia degli orrori perpetrata contro questo nobile ed antico strumento musicale. Negli anni sessanta, nella Parrocchia Cattedrale di "Santa Maria Assunta in Cervia", l'intera cantoria (posta in alto a sinistra rispetto all'altare), fu murata con all'interno l'ottocentesco organo meccanico. Ci duole constatare che poco più di quarant'anni fa, invece di orientarsi al recupero dello strumento, si scelse, nonostante le proteste del parroco e dei parrocchiani, una soluzione assai più radicale: murare quell'ammasso di "rottami". Purtroppo voci venute dalle "alte sfere", ordinarono il misfatto. In verità le cantorie erano due: di una abbiano già accennato; nell'altra (murata anch'essa di rimpetto alla prima) fu collocato l'attuale impianto di riscaldamento. Fortunatamente negli ultimi tempi sta prendendo forma l'idea di promuovere un progetto atto a riportare a nuova luce (e non è una metafora) il prezioso romantico strumento. Oggi non abbiamo solcato le morbide colline dell'entroterra riminese, come invece è nostra consuetudine fare ma, al contrario, abbiamo percorso la via costiera fino a giungere a Cervia, in provincia di Ravenna; lo abbiamo fatto solo perché (ne siamo certi) un caso simile non poteva essere taciuto. Giunti a Cervia (precisamente nella piazza centrale dove si fronteggiano da un lato la Parrocchia Cattedrale e dall'altro il Municipio Comunale), veniamo benevolmente accolti dall'attuale parroco don Umberto Paganelli. Subito gli chiediamo informazioni dell'organo. Dalle prime affermazioni fatte dal parroco ci rendiamo subito conto di quale tipo di strumento ci saremmo trovati di fronte: l'organo in questione è di scuola veneta databile attorno alla metà dell'ottocento, costruito dall'organaro dilettante Giuseppe Cipriani. La data di morte del Cipriani è incerta, tuttavia la si deve collocare prima del 1864. Per questo sopralluogo ci siamo avvalsi della preziosa esperienza del M° Mauro Ferrante (Ispettore per la tutela per gli organi antichi delle Marche e della Romagna). Il parroco ci guida all'interno della seicentesca chiesa. Dopo aver oltrepassato una stretta porta, ci siamo trovati con nostro stupore, all'interno della cantoria murata. Il buio è totale ed è solo grazie alla provvidenziale torcia elettrica del M° Ferrante che riusciamo ad intravvedere i resti dell'organo: alla nostra sinistra troviamo i contrabbassi collocati sopra il loro somiere, ancora nella loro secolare e originaria posizione. Tali canne sono in abete tinto di rosso con bocche riquadrate in noce: muti ed immobili monoliti che, con il loro silenzio, sembrano rivelare a noi il loro assurdo destino causato da scellerati comportamenti passati. Constatiamo che lo strumento è stato smembrato in tutte le sue parti: le canne più grosse del principale (ed altre in lamina zincata) sono addossate alle pareti; quelle di più piccole dimensioni del ripieno (fino alla trigesimaterza - trigesimasesta) sono invece accatastate in una grande cassa. La tastiera (di cinquantaquattro tasti con prima ottava cromatica aggiunta successivamente), la pedaliera (di diciotto tasti più uno accessorio) ed alcune parti delle catenacciature sono sparse sul pavimento. Poco più in là il fascio di luce delinea l'inconfondibile profilo del somiere maestro. Mauro, abituato già a simili situazioni, si  getta nell'oscurità incurante delle ragnatele e dalla possibilità di fare spiacevoli incontri con insetti e piccoli roditori che, ormai da decenni, albergano indisturbati in quel luogo desolato. Poco dopo ritorna con un verdetto chiaro e preciso: "Il somiere è del tipo a stecche (o a tiro), in legno di noce ben lavorato. La secreta è chiusa da due antine di noce tramite naselli sagomati; all'interno esistono cinquanta ventilabri in abete (a conferma dell'originaria estensione di 50 tasti con ottava corta), con guide laterali e tiranti in ottone e tenuta d'aria tramite cappucci in pelle con perlina". Ritroviamo anche la tavola lignea sulla quale erano collocati i tiranti a manetta dei registri disposti su due file verticali. Infine, dopo aver spolverato il listello frontale della tastiera, leggiamo la targhetta posta al centro di essa e constatiamo che: l'organaro Felice Burroni di Osimo (metà del sec. XX), attuò un intervento di restauro e di ampliamento dello strumento. Uscendo dalla cantoria notiamo in un vano posto sopra di noi, i due mantici a cuneo con le relative funi ed il motore elettrico. Con soddisfazione possiamo constatare che tutte le parti dello strumento si sono mantenute in buono stato di conservazione; sembra infatti che il muro incriminato abbia preservato nei decenni, come in uno scrigno segreto, tutti i materiali dagli agenti atmosferici e dalla vista di persone senza scrupoli. Ci auguriamo che in futuro il parroco don Umberto Paganelli, possa trovare validi collaboratori per realizzare il suo appassionato progetto in favore del recupero e del restauro di questo romantico strumento. Nel frattempo, se entrando nella Cattedrale di Cervia vi par di sentire un suono d'organo, non ingannatevi! è la vostra immaginazione; oppure... sono antichi suoni che, come benevoli spiriti, da dietro a quel muro chiedono insistentemente di ritornare a nuova vita.
p.s. per ovvie ragioni, non abbiamo potuto esporre il prospetto dell'organo in questione.



Lunedì 14 febbraio 2005
 
 
Nel restauro dell'organo custodito dai frati di Villa Verucchio
la Carim investirà 82.000 euro
Il "Cavaliere" ritroverà la sua voce
Alla Collegiata lo strumento fratello è tuttora in disuso
 
 
di Massimo Pacifero


 
Finalmente è tornato il "Cavaliere"! Intendiamoci,  non parliamo del noto personaggio politico, ma dell'organo costruito dalla ditta "Inzoli Cavaliere Pacifico e Figli della Premiata Pontificia Fabbrica d'Organi fondata nel 1867". Nel 1880, il "Cavaliere" costruì presso la Chiesa S.Croce del Convento dei Francescani di Villa Verucchio (Rimini) uno dei due organi della zona; l'altro strumento, "il fratello maggiore" (tutt'ora in disuso) è situato presso la chiesa "Collegiata", di Verucchio. L'organo dei frati di Villa Verucchio, sarà presto riportato alla sua originaria voce grazie ad un meticoloso restauro operato della ditta "Bonizzi e fratelli" di Ombriano di Crema.
Alcune caratteristiche dell'organo le abbiamo direttamente ricavate dalla scheda dello strumento, gentilmente concessa dalla ditta "Bonizzi".

L'organo è a trasmissione meccanica collocato in cantoria sopra il portale d'ingresso principale e racchiuso in una cassa lignea addossata alla struttura muraria. La facciata è formata da ventitré canne in stagno poste entro una campata e disposte in tre cuspidi.
I tasti bianchi della tastiera sono ricoperti in osso, quelli neri in ebano. La pedaliera è formata da diciassette pedali. I registri sono azionati da manette a corsia orizzontale con incastro disposte su doppia colonna a lato destro della tastiera. La registrazione comprende, oltre ai caratteristici registri dell'organo (dal principale 16' alla trigesimasesta, contrabbassi ed ance), registri di derivazione orchestrale (violino, viola, violoncello, dulciana) e particolari effetti sonori bandistici (timpani, rullante, campanelle e piatti).

Osservando la disposizione fonica dei registri, possiamo affermare che il progetto rispecchia le caratteristiche della tradizione organaria tardo romantica. L'intero progetto di restauro avrà un costo di 82000 Euro. La consegna dovrebbe avvenire nel settembre del 2006. Il restauro è stato possibile grazie al contributo della Cassa di risparmi di Rimini, alla tenacia di padre Glariano Pazzini (il quale abbozzò la prima idea di restauro nel 2002) e all'attuale padre Galesini Mauro. Vogliamo in questa occasione lanciare una provocazione (non ce ne vogliano i nostri amici della vicina e più "alta" Verucchio): chissà se i parrocchiani della Collegiata di Verucchio vorranno essere da meno, oppure ritrovare anche loro, un giorno non lontano, il "Cavaliere"?



Rimini, Venerdì 11 Aprile 2003


All'abbazia del Monte un prezioso organo di fine ottocento
Morbide note stonate
Attende il restauro un positivo del Verati


di Massimo Pacifero



Nella cripta della monumentale e millenaria Abbazia "Santa Maria del Monte" di Cesena è custodito dal 1975 un piccolo antico organo Positivo di scuola bolognese. Quando ci avevano avvisato di questo strumento siamo subito partiti per la città dall''entroterra romagnolo spinti dalla curiosità e dal desiderio di vedere cosa ci saremmo trovati di fronte. Le nostre aspettative non sono state deluse! In verità l'organo non è poi così "antico", stiamo parlando di un organo Positivo della seconda metà dell'Ottocento dell'organaro "Verati", bolognese, che negli ultimi decenni è stato notevolmente rivalutato. Arrivati a Cesena dalla riviera riminese, non ci è stato difficile individuare l'Abbazia che, dall'alto della nostra sinistra sembra voler sfuggire al cemento dei palazzi che ormai lambiscono i piedi della collina. Dalla sommità del colle, ammirando l'incredibile panorama, ci è parso ancor più evidente il contrasto fra la frenetica vita cittadina e la quiete dell'Abbazia. Basta un semplice movimento degli occhi per posare lo sguardo su Ravenna o Forlì oppure (facciamolo questo piccolo sforzo), volgendo lo sguardo ad Est vediamo Rimini che pare sospesa sul mare. San Marino al contrario è saldamente aggrappata alla sua roccia. Più all'interno si distendono su morbide macchie innevate sperduti paesini di chissà quale località dell'Appennino Tosco-Emiliano. Don Luigi cordialmente ci accoglie e ci accompagna all'ingresso dell'Abbazia. In verità il vero ingresso, una volta all'interno, è situato immediatamente alla nostra sinistra. Anche questo però, non reggendo il confronto con la possente mole dell'edificio, non volge in ampi spazi ma, timidamente sbuca in un chiostro "piccolo" per giunta (come è riportato nella guida turistica). Scendiamo nella cripta. Un grande sarcofago romano (I secolo) a guisa di Altare, è stato riutilizzato per la sepoltura di San Mauro vescovo. La penombra ci inganna e, fra le varie cappelle laterali in cui sono collocate antiche statue di terracotta, abbiamo pensato che fosse collocato l'organo di Adriano Verati. In realtà lo strumento è posto sotto una piccola navata chiusa (nella parte posteriore all'organo) da un confessionale. L'organo, prelevato inizialmente dalla chiesa di San Martino in Bagnola (Comune di Sogliano sul Rubicone) nel 1975, è stato restaurato con una spesa di £. 242.000. Oggi si presenta in discrete condizioni strutturali ma è quasi totalmente inutilizzabile a causa della precaria accordatura. In una nota datata "Cesena 19 Giugno 1975" l'organista titolare Don Gabriele Tirro scrive: "L'organo è stato costruito dall'organaro bolognese Adriano Verati, secondo l'indirizzo della scuola organaria del Callido verso la fine dell'800. Bolli di spedizione per Rete Adriatica da Bologna collocati su alcune canne di legno e altrove confermano che l'organo non può essere stato costruito prima del 1885, anno in cui la Strada Ferrata Meridionale che parte da Bologna cambiò nome in Rete Adriatica. Un cartiglio incollato nella parte posteriore della cassa porta l'indirizzo del destinatario: "Al M° Pietro Furiosi, via Savignano sul Rubiconde - Forlì". Per quanto riguarda l‚affermazione fatta da don Tirro in riferimento alla „scuola organaria del Callido" dobbiamo essere molto cauti: l'accordatura, l'intonazione e la scelta dei registri contrastano con la scuola del famoso organaro veneto. Il registro di viola (le cui canne sono state tagliate per creare un flauto in duodecima). la terza mano, i campanelli, la tastiera (con estensione da Do-1 a Fa4) con tasti di legno ricoperto e con spezzatura al Mi-3, il ripieno tre file (XV; XIX; XXII), le manette dei registri inseribili con movimento da destra a sinistra sono elementi semplicemente sconosciuti a Callido. Unici elementi in comune sono la disposizione delle canne di facciata, a cuspide con ali, e la divisione del Principale in "bassi" e "soprani". Spostando a viva forza il confessionale che chiude la parte posteriore della piccola navata, riusciamo ad arrivare dietro l'organo e... sorpresa! Una fila di canne di basseria in legno, con la bocca opposta alle canne di facciata, è situata su un apposito somiere nella parte posteriore dello strumento. Apriamo la secreta chiusa dalle classiche "farfalle". Notiamo che i ventilabri sono molto più grandi di quelli del somiere maestro. Sempre don Tirro, nella sua nota, riferisce che l'organo dispone di trecentodiciotto canne e che dodici di esse sono di legno riservate al 16‚ piedi ma tale registro non è compreso nelle apposite manette; forse è direttamente collegato alla pedaliera. Richiudiamo accuratamente la secreta e proviamo a suonare la pedaliera, niente! Più di qualche tenue ansimante soffio non riusciamo a ottenere. Probabilmente la tenuta stagna del somiere di basseria è estremamente precaria. Ci viene anche il dubbio se quel registro non fosse stato aggiunto postumo. Solo il principale suona discretamente e lo percepiamo con un timbro caldo, delicato e morbido, perfettamente amalgamato nella caratteristica "scordatura" della Voce Umana. Lo strumento si divide in due tronconi ben distinti: una parte inferiore, che comprende la manticeria, la pedaliera (di diciotto pedali) più un motore elettrico (esterno allo strumento dentro apposito contenitore fonoassorbente); e una parte superiore per la tastiera, la meccanica, il somiere (a stecche) e tutte le canne. I campanelli sono nascosti dietro il leggio. Questo piccolo organo positivo, alto 320 centimetri e largo 147, merita un'accurata opera di restauro perché, a differenza delle altre preziose opere d'arte con le quali arreda e nobilita questa antica cripta, non è muto ma ha una sua voce, una voce che da secoli, assieme alla parola e il canto, sono manifestazione "sonora" della fede; ambasciatori del misterioso messaggio.





Rimini, Venerdì 17 gennaio 2003
Attende da tempo il restauro uno strumento di ottima fattura, vittima di lavori sbagliati e dell'incuria
Mantice rotto, ragnatele, tubi di plastica: offeso e muto l'organo di Verucchio
di Massimo Pacifero

L'urlo! Come l'urlo di Munch, la grande campata centrale del monumentale argano della Chiesa Collegiata di Verucchio, sembra essere una grande, spalancata bocca, nell'intento lancinante, drammatico, di lanciare l'urlo! Muta denuncia dell'inerzia e incuria dei presenti e dell'imperizia violenta degli antenati. Ma noi questo non lo sapevamo, e con fiducia e impazienza siamo saliti in cantoria, sopra il portone centrale. Appena arrivati abbiamo notato il massiccio mantice a lanterna posto a ridosso del muro, azionato da una manovella circolare in ferro (Il motore elettrico è situato nei piani inferiori). Visto le dimensioni, la solidità, la qualità dei materiali e la grande pietra posta sopra di esso, abbiamo subito capito che avremmo fatto visita ad un grande, bellissimo strumento ma, come un presagio per quello che poi avremmo visto, notiamo la condotta in legno dell'aria distrutta, come una gola tagliata. Passato il primo vano della cantoria (riservata alla manticeria) siamo arrivati al centro della stessa. Da lassù la chiesa ci è sembrata ancora più bella e grande: due file di colonne disegnano altrettante navate. Allungando lo sguardo al centro si arriva ad una grande cupola dalla quale si allungano due bracci formanti la classica forma a croce. Dietro l'Altar Maggiore, un'altra cupola semicircolare: ottimi elementi questi per una buona acustica. Ci giriamo e veniamo totalmente avvolti dalla facciata dell'organo a tre campate: una centrale (la più grande) a tre cuspidi di ventiquattro canne; e due laterali ad una cuspide ciascuna di nove canne; per un totale di quarantadue canne di facciata. Proprio sotto il somiere, una targa smaltata di bianco fa bella mostra di sé e presenta, come un biglietto da visita, lo strumento: "Opera monumentale del Cav. Pacifico Inzoli di Crema già costruito per la Chiesa dei Servi in Rimini l'anno 1887. L'Arcid. Can. Gianbattista Pecci a proprie spese acquistò per questa Chiesa Collegiata nella Pasqua dell'anno 1921. La ditta Giuseppe Rotelli di Cremona opportunamente rinnovò nel Maggio del 1925". D'istinto tocchiamo qualche nota sulla tastiera, come se volessimo inconsciamente sentirne il suono: nulla! Sentiamo invece, dietro il leggio, l'allegro "cigolare" delle catenacciature: la trasmissione è meccanica! Per "par condicio" tocchiamo anche la seconda testiera ma! Il tasto è inerte, senz'anima, senza corpo. Ci viene un dubbio: cosa ci fa una tastiera se non è collegata all'organo? Subito smontiamo il pannello di destra e, praticamente, entriamo nello strumento. Ai nostri piedi notiamo un altro mantice, più piccolo; in alto sulla destra vediamo le gigantesche canne di legno dei contrabbassi che, con grandi bocche spalancate, sembrano muti, stupefatti monoliti. Usciamo e smontiamo il pannello di destra. Entriamo: come preludio ad un desolato paesaggio, una selva di ragnatele ci accoglie. Una scaletta a pioli sale in alto, fino ad una stretta passerella dietro alla cassa espressiva dentro la quale sono contenute le canne della seconda tastiera. Alle nostra destra il dubbio purtroppo, svanisce: la prima tastiera (come previsto) è collegata alle catenacciature; la seconda invece muore nel nulla. Al di sopra di essa un'infinità di tubi di piombo (alcuni sostituiti con volgari tubicini di plastica) salgono fino al piano superiore, all'espressivo. Scopriamo così che la seconda tastiera è a trasmissione pneumatica-tubolare. Ma le sorprese non sono finite. Notiamo che alcune condotte dell'aria altro non sono che diabetici giallognoli tubi di plastica, come quelli delle grondaie. A ridosso della parete interna, sopra l'apposito somiere, notiamo i registri del pedale con canne di legno, alcune tappate altre a forma di piramide, altre ancora aperte. Come in un film di giallo, fra ragnatele e polvere saliamo la stretta scaletta a pioli. Ora, leggermente sopra al somiere maestro, vediamo le canne del Grande Organo, tutte ben ordinate: prima i ripieni, i registri di due e quattro piedi; poi davanti le ance, proprio dietro le canne di facciata. Saliamo ancora, il buio si fa più intenso, all'improvviso inorridiamo! No! Non un topo morto (anche se, nei grandi organi, se ne trovano) ma, gli onnipresenti diabetici tubi di plastica giallognola: questi sono più piccoli, come quelli che gli idraulici adoperano per gli scarichi dei rubinetti. Disprezzando ogni buona regola dell'arte organaria, bucano direttamente in più punti la parte posteriore del somiere dell'espressivo. Uscendo (dall'organo) ci imbattiamo in un cartiglio in cui si fa riferimento ad altri due organari: Napoleone Valvassori e Basso Ricci (il cartiglio è molto rovinato) e, sopra le tasriere, notiamo le targhetta della Ditta Organaria Marciana, un nome un'incertezza! (per chi è del mestiere) Ormai non v'è più alcun dubbio. Nel secolo scorso lo strumento è stato più volte violentato: vi è stata aggiunta una seconda tastiera (basti confrontare le originali manette per l'inserimento dei registri, di buona qualità e fattura, con le levette della seconda tastiera, di materiale plastico degno dei peggiori organi elettronici degli anni settanta; i frontalini della II tastiera sono smussati, quelli della I sono dritti), gli interventi postumi sono stati eseguiti con materiale di pessima qualità. Sconsolati richiudiamo lo strumento come se dovessimo richiudere un sarcofago e, prendendo atto della situazione, ci auguriamo che in un prossimo futuro qualcuno prenda a cuore questo monumentale, romantico organo che, violentemente ferito, disperatamente da troppo tempo, silenziosamente urla!

Tastiere:
2 tastiere di 5 ottave
Trasmissione:
meccanica e pneumatica-tubolare.
Pedaliera:
18 pedali più due per la "terza mano" ed il "rollo e timbaldone".

Registri:
I tastiera con inserimento a manetta: flauto 8' viola 8' dulciana 4' unda maris clarino 16' tromba 8' principale 8' principale16' ottava 4' XII, XV, ripieno

Pedale: contrabbasso con ottava, basso dolce

II tastiera con inserimento a levette: ottava grave,, ottava acuta, oboe 8' bordone 8' flauto 4' viola 8' celeste 8' concerto viole, corale 8

Tremolo. Pedaletti e unioni: (da sinistra), II pedale, I pedale, II- I, mezzo forte I tastiera, forte II organo

Staffa espressivo.


 


Rimini, Venerdì 31 gennaio 2003


Suona bene l'organo di Santa Maria in Cerreto

di Massimo Pacifero



Come nella stupenda chiesa di San Marco a Venezia, vedendo le due belle cantorie della nostra più vicina chiesa di Santa Maria in Cerreto, a Rimini, immaginiamo suggestive atmosfere. Gruppi contrapposti di strumentisti e coristi che, concertando e fondendo le loro melodie in un unico fitto contrappunto, diffondono dall'alto a tutta l'assemblea, il loro messaggio musicale. Don Marino, il Parroco, ci invita a "volare basso". Ci informa che la chiesa non è poi così "vecchia": è del 1930, ricostruita e voluta così come la vediamo oggi (restaurata di recente dallo stesso don Marino) da don Aldo Tonelli, accanto all"antica chiesa seicentesca lesionata dal disastroso terremoto di qualche anno prima. Come l"effetto di una sberla, ritorniamo in noi e, sconsolati, notiamo file di sedie di fianco al presbiterio: al coro è negata la dimensione delle "Altezze Celesti". Anche l'organo giace al livello umano: sul pavimento, dietro una colonna, l"effetto sonoro è scontato. Il suono, riflettendosi sulla parete opposta, ritornerebbe da dove è partito, come se le pareti stesse giocassero una partita di Ping-Pong, trattenendo il suono che, invece di diffondersi lungo le navate, miseramente si estingue. Accendiamo l"organo! Sopra la chiavetta, posta a destra, troviamo il nome della ditta organaria: "Frescobalda". A questo punto gli "addetti ai lavori" si domanderanno perché dovremmo perdere tempo per un organo del genere. Suona bene! Ecco perché! Ed è un organo a trasmissione meccanica (aggiungiamo) fatto con materiali di buona qualità, eccezione fatta per il mobile. Lo diciamo consapevoli di mettere a repentaglio la nostra modesta reputazione. La delicatezza del principale ci sorprende: l"aria, quasi densa, la sentiamo uscire dalla bocca della canna, impastandosi con un suono dal timbro caldo e corposo. Il flauto di 4'' poi (vogliamo davvero esagerare) non ha nulla da invidiare a quello di uno strumento antico. Incuriositi, tamburelliamo leggermente con le dita (non consigliamo a nessuno di farlo) sul corpo di una canna: il rumore che ne ricaviamo e caldo e sordo. Ne deduciamo che nella composizione della lega ci sia una buona percentuale di stagno e piombo. Ci viene un sospetto! "Non è che nella chiesa distrutta fosse stato collocato un organo antico del quale si sono riciclati alcuni registri?" Ebbene sì: l"organo c"era! Fu venduto negli anni quaranta, con il ricavato il parroco d"allora fece costruire l"attuale organo, e l"impianto di riscaldamento. Alcuni resti giacciono in una delle due cantorie ma non siamo potuti salire per controllare perché sono inaccessibili. Le bocche delle canne di facciata (a cuspide con ali, la più grande centrale è "la1") sono a scudo con mitria. Le prime nove canne del principale sono di legno, poste davanti alle canne del 16'' del pedale. Notiamo con grande sorpresa che i registri di principale e di ottava sono "spezzati" in bassi e soprani al "do3", così come tutti i registri solistici, nonostante l'unica tastiera (in legno, liscia e senza alcun tipo di decorazione) sia di cinque ottave. Anche le armoniche del ripieno sono tutte indipendenti e inseribili da singole manette fino alla vigesimaseconda. L'unica manetta del ripieno unifica la vigesimasesta e la vigesimanona. La pedaliera, radiale e concava, ci è sembrata poco consistente e sicuramente esageratamente leggera al tocco; è composta da trenta tasti (do1- fa3). L'organo dispone di tre pedaletti: due centrali per l'unione I-P e per il tremolo; uno laterale per il tiratutti. Partendo dalle canne di facciata sul somiere, avremo i seguenti registri: Principale; Vox Umana; Ottava; Flauto in XII; Flauto 4', seguono (a scalare) tutte le file del Ripieno e, infine, il cornetto. Smontando il pannello di destra comprendiamo il perché di un suono così morbido: i pesi, che devono creare la giusta pressione dell'aria posti sopra il mantice (a lanterna e di buon fattura), sono costituiti da due soli mattoni. Il motore elettrico, ai nostri piedi, è un po' troppo rumoroso. Dall'interno possiamo vedere solo una parte della meccanica e di tutte le parti che compongono lo strumento ma, tutto ci sembra di buona qualità. Inutile dire che lo strumento ha bisogno di una "buona" revisione, non proprio di un restauro (l'organo è del 1950) ma sicuramente di un'accurata accordatura ed intonazione. Inoltre, che gli sia data giustizia, collocandolo in una delle due cantorie, così che la sua bella voce possa essere espressa e non repressa. E, non da ultimo, gli sia cambiato il "vestito": quel cubico quadrilatero mal si addice alle morbide linee delle navate. Il colore di quel tetro manufatto, di legno truciolare e di formica, assemblato in maniera sconsiderata, non si intona con i delicati color pastello della chiesa. Un' offesa all'occhio, resa ancor più sprezzante dal contrasto con la giovane antichità, di questa bella chiesa.


Alcuni dati tecnici:

Trasmissione Meccanica; Tastiera: Una di 5 ottave; Pedaliera: Radiale concava di 30 note (Do1-Fa3) Registri: Principale B. Principale S. Ottava B. Ottava S. Decimaquinta, Decimanona, Vigesimaseconda, Ripieno 2f. (XXVI-XXIX), Flauto 4', Flauto XII, Cornetto 2f., Vox Umana, Contrabbasso 16'; Unione I/P; Tremolo; Tiratutti.





Rimini Venerdì 14 febbraio 2003


L'organo della Basilica di Rimini ha caratteristiche romantiche, poco adatte alla chiesa
Bello, ma fuori spazio-tempo
La posizione non permette al suono di distendersi


di Massimo Pacifero



Inizialmente fu la chiesa di San Francesco poi, fra il 1446 e il 1460, Sigismondo Malatesta decise alcuni lavori di ampliamento trasformando la chiesa in Tempio, quello che noi oggi conosciamo comunemente come "Tempio Malatestiano" (da quest'anno Basilica Cattedrale di Rimini). Le prime opere di ampliamento furono la costruzione di due cappelle nel 1447, una dedicata a San Sigismondo e l'altra dedicata agli Angeli; alcuni anni dopo Piero della Francesca firma lo splendido affresco raffigurante "Sigismondo in orazione davanti a San Sigismondo". Leon Battista Alberti si dedicò al rivestimento esterno in marmo della futura Cattedrale, mentre nel 1456 lo scultore Agostino di Duccio si preoccupò di decorare le cappelle interne. Opera fra le opere, domina la Cattedrale il crocefisso di Giotto del 1300 circa, posto dietro l'altare maggiore, come se la grande cupola che lo avvolge fosse stata appositamente ricostruita dopo la guerra. Dal portone centrale attraversiamo l'imponente mole della Cattedrale. Come porte del tempo sempre aperte, le cappelle dette "delle arti liberali"; e quelle " dei pianeti" raffiguranti l'equilibrio delle sfere celesti, ci proiettano in pieno rinascimento. Immersi ormai in una mistica atmosfera gotica di un tempo armai lontano, proprio sotto il presbiterio notiamo l'organo: uno strumento romantico che, pur essendo di buona qualità, è totalmente fuori spazio-tempo. In alto, ai due lati della cupola, diviso in due corpi ben distinti incassati in altrettanti vani all'interno del muro, notiamo le canne. A destra il "Grande Organo" con canne disposte a cuspide con ali; a sinistra una doppia fila di canne sovrapposte, formante un tema ad "onda", coprono la cassa espressiva. Da questo particolare deduciamo che tali canne, pur essendo di metallo, sono mute. In basso a sinistra la consolle. Ci avviciniamo ad essa. Costruita in massiccio legno, ostenta la sua solidità. Le plachette dei ventinove registri, delle unioni e di tutti gli accessori posti sul frontale interno in radica di noce, sono a bilico. Ognuna delle due tastiere di cinque ottave dispone di cinque memorie fisse e di quattro memorie aggiustabili tutte inseribili per mezzo di appositi pistoncini, più quattro memorie generali posizionate sotto la tastiera del Grande Organo. La pedaliera radiale e concava di trentadue note, è un po' troppo pesante. Sopra le tastiere spicca la targhetta della ditta di costruzione: "G.Tamburini". L'organo è stato inaugurato e collaudato nel 1951 da Elvino e Ferruccio Polverelli, famiglia di organisti riminesi, titolari della Basilica Cattedrale di Rimini fino agli anni 70. L'organo dispone di due motori (uno per parte) e di quattro mantici a lanterna equamente divisi. Tale forza "motrice" crea una pressione tale dell'aria da far suonare il "Tutti" dello strumento (ma anche alcuni registri: come la tromba al pedale; il principale; l'eufonio ecc.) incredibilmente forte, addirittura assordante potremmo dire. L'eccessivo affollamento sonoro è dovuto in parte anche alla posizione delle canne che, così raccolte all'interno della cupola, non permettono al suono di distendersi lungo il perimetro della Cattedrale ma, rimane "imprigionato" all'interno della cupola stessa la quale agisce come una gigantesca cassa sonora. I suoni non fondono, ma si sovrappongono in un gioco di riflessi e di rifrazione infiniti. Per fare un esempio è come se in una splendida giornata di sole noi non potessimo godere della calda luce del sole, ma dal sole ne fossimo accecati. Qualcuno di voi, per questo, affermerebbe che il sole non è cosa buona? Il fatto è che l'organo della Cattedrale è sì un buon strumento ma fuori "spazio-temporale". Ben consapevoli dell'inviolabilità della Cattedrale vorremmo ugualmente indicare, "ha nostro personale parere", alcune proposte: 1) Tenere lo strumento così com'è collocandolo, in un unico corpo, nella cappella di sinistra (non contenendo questa alcun affresco o altre opere d'arte). Questo comporterebbe un nuovo progetto e restauro totale dello strumento. 2) Tenere lo strumento così com'è, ma collocare i due corpi fuori dalla cupola, esattamente sopra le due porte d'uscita laterali. Verrebbe in questo caso eliminato l'effetto assordante della cupola. 3) Ricostruire un nuovo strumento meccanico in sintonia con l'aspetto architettonico, acustico, storico e funzionale dell'ambiente. In verità vi sarebbe una quarta soluzione (la più economica) che, pur migliorando notevolmente la situazione non eliminerebbe totalmente gli inconvenienti: un totale restauro (e non una revisione come di recente e stata effettuata con una spesa di circa venticinquemila Euro), lasciando lo strumento al suo posto, intervenendo con particolare cura sulla pressione dell'aria, l'intonazione e l'accordatura di tutti i registri. Non possiamo infine tacere il dispiacere provato nel constatare che in questa possente Cattedrale, non c'è la cantoria. Il suono, il canto, la musica, non sono opere di disturbo alla parola se queste hanno idonei mezzi per esprimersi anzi; queste nobili arti sorreggono, trasformano, esaltano la parola portando il verbo anche ai cuori più lontani.





Alcuni dati tecnici

Trasmissione elettrica

2 tastiere di cinque ottave; pedaliera radiale concava di 32 note

Registri del Grande Organo (tutti reali):
Principale 16, Principale forte 8', Principale debole 8', Flauto 8', Dulciana 8', Ottava 4', XV, Ripieno 5 file, Ripieno 3 file. Tremolo

Registri del Positivo (tutti reali):
Oboe 8', Concerto di viole 8', Eufonio 8', Bordone 8', Viola da gamba 8', Flauto a camino 4', Fugara 4', Flauto XII, Pinino 5 file, Salicionale 8', Voce celeste 8', Clarinetto 8'. Tremolo.

Registri Pedale:
Contrabbasso 16', Bordone 16', Basso 8', Violoncello 16', Tromba 16'. (I registri del pedale sono collocati sia a destra che a sinistra)

Unioni:
I-P / I-P sopra / UT / sopra I / sopra II-I / Grave II-I

II- P / sopra II-P / sopra II / Grave II.

Memorie:
Grande Organo: 5 fisse; 4 aggiustabili
Positivo: 5 fisse; 4 aggiustabili
4 combinazioni generali aggiustabili

Staffe:
Graduale / Espressivo.


 


Rimini
Venerdì 28 Febbraio 2003


La sua Potente voce copriva i lazzi libertini che proseguivano anche in tempo di Quaresima
L’Organo del carnevale tornerà a suonare?
Il nostro esperto smaschera un’antica diceria: non è un Callido

di
Massimo Pacifero

Nella chiesa di Cerreto (Saludecio) un velo di mistero avvolge “l’antico” organo. L’unica notizia certa è riportata su un cartiglio posto sul lato sinistro del somiere: “Reverendo don Luigi Piccioni Arciprete di Cerreto Saludecio Fermo di Cattolica”. Il nostro amico Alberto, a detta di tutti “lo storico del paese” ci fa notare che lo stile della calligrafia è quella tipica ottocentesca e che don Luigi è stato parroco a Cerreto fino ai primi decenni del 1900. Appena arrivati in zona si può notare la chiesa che, posta sopra le antiche mura dell’antico castello malatestiasno, domina fra tutte le case del paese. Inerpicandoci per le strette viuzze, il nostro amico Alberto ne approfitta per raccontarci antiche leggende del paese e parlarci del loro singolare antico carnevale: l’Uomo Edera; l’Asino che si beve la luna nel pozzo (un somaro meccanico che, situato sopra un carro spara, per la gioia dei bambini, dolcetti…. dal posteriore; Il pagliaccio, un pagliaio (cavo al cui interno prendeva posto un paesano) al quale poi, è appiccato il fuco. Un’ottima prova di coraggio per alcuni che, sfidandosi, scommettevano su chi resisteva di più; l’ultimo ci ha rimesso la giacchetta e parte della sua folta capigliatura. Fra le risate della storia del “Cannone” e quella della “Polenta nel Pozzo” siamo ormai arrivati all’interno della chiesa. Un paesaggio desolante ci accoglie: l’intero edificio è un cantiere a causa del restauro in corso. La nostra apprensione va subito alla cantoria. L’organo e ingombro di calcinacci, polvere e ogni sorta di materiale. Un telo copre pietosamente la facciata delle canne. Siano arrivati fin quassù guidati dalla convinzione dei cerretani, e non solo, sicuri di trovare un Callido; eppure è bastato sollevare il copri testiera perché l’attesa si tramutasse il delusione: il Callido altro non era che leggenda metropolitana. Molte sono le prove e prima fra tutte la tastiera: cinquantotto tasti di legno ricoperti di celluloide. Sicuramente non originale ma sostituita negli anni cinquanta da un “organaro” locale (non era difficile reperire una tastiera vista la vicinanza con la famosa fabbrica di fisarmoniche di Mondaino, lasciamo a voi giudicare). In secondo luogo la facciata, con bocche delle canne a scudo, a formare tre cuspidi. Ancora: l’organo dispone di registri orchestrali come la Viola; il Violino e il fagotto. Come per fugare ogni dubbio, le ance sono situate dietro alle canne di facciata; il ripieno è inseribile per mezzo di due manette situate a destra dello strumento (come per tutti gli altri registri), rispettivamente: ripieno tre file e ripieno due file. All’interno dell’organo alberga una sconfortante sensazione di assoluto abbandono. Fortunatamente nulla è veramente “distrutto” come se il tempo, nella sua immobilità, avesse conservato tutto con cura. Neppure l’avvento dell’elettricità a permesso che lo strumento di fosse munito di un motore elettrico. Il mantice, azionato per mezzo dell’apposita asta, soffia e sbuffa ma, non si gonfia. L’organo dispone di due pedaletti posti frontalmente in basso, abbiamo provato a spingerli ma nulla si è mosso. Supponiamo che debbano servire ad inserire il ripieno e la terza mano. Altri due pedaletti, in legno, si trovano sulla destra. Uno e mozzato, l’altro inserisce il tiratutti (esclusi i registri orchestrali). Mah! Chi ha costruito lo strumento? Non lo sappiamo, e questo è il vero mistero. Abbiamo smontato pannelli, sfilato canne, cercato fra polvere e calcinacci, aperto la secreta del somiere (chiusa da apposite “farfalle”) in cerca di una traccia, niente! Anche don Gino Maggioli, ultimo parroco dal 1952, era convinto che nella sua piccola chiesa fosse stato installato un Callido: erano proprio tutti convinti! Il sito sul quale di solito l’organaro lascia il numero d’opera e la propria firma è tremendamente vuoto; una finestrella aperta da cui si riesce intravedere all’interno la meccanica. Alla fine ci siamo domandati se quell’organo non avesse mai potuto suonare. “Eccome! Lo sentivi suonare nella testa”, ci ha risposto un paesano. Se immaginiamo il tutti dei principali, ottave, ottavino, voce umana, cinque file di ripieno, violino, viole, flauto, fagotti, trombe, terza mano e contrabbassi, davvero si doveva “sentiva suonare nella testa!”. Che tale potenza dovesse contrastare il gioioso, carnevalesco chiasso del paese? Spesso a Cerreto capitava che il carnevale si sovrapponesse alla Quaresima. In una lettera del XVIII secolo così don Nicola Flondi scriveva al Vescovo di Rimini: “…espone come nella sua Parrocchia regni disordine da molti anni, cui egli colla sola sua voce non poté oviare..” “Finita la funzione, escono fuori molti giovani con cembali, ed altri rozzi istromenti, e cominciamo a saltare, e danzare nel piccolo spiazzo avanti alla Chiesa con chiasso, e bagordo tale, che disturbano i Divoti della Chiesa istessa…” “Alcune femmine poi anche invitate, e prese a forza si traducono in mezzo a quella scapestrata canaglia….. e così il ballo diviene anche scandaloso”. Infine dando un’ultima occhiata all’organo possiamo con cautela affermare che: seppur non sia un Callido è sicuramente un buon strumento in stile romantico del tardo ottocento. In futuro ci auguriamo che, come l’antico carnevale si ripresenta oggi con le sue arcaiche maschere, così anche l’organo ritrovi oggi la sua “antica” restaurata voce e sia tolto finalmente quel consunto telo dalla facciata, come un copricapo di colei che s’avvicina gravemente al confessionale per redimersi da chissà quale peccato, con pudore si copre il viso.

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