Nel "Mattutino" di ieri, come sempre azzeccato e suggerente, mons.Gianfranco
Ravasi riportava l'apologo di Woody Allen in cui alla domanda "Secondo
te, esiste una vita dopo al morte?", un amico replicava: "E secondo
te, esiste una vita prima della morte?".
Ritrovo lo stesso quesito nel libro "La luce e il mezzo", di Marshall
McLuhan (Armando Editore), sul quale stavamo ragionando mercoledì scorso.
Il grande massmediologo canadese,
infatti, già in un'intervista del 1970 sosteneva che la domanda "C'è
la vita prima della morte?" è diventata molto più rilevante,
anche dal punto di vista religioso, di quella sulla vita dopo la morte. Ciò
è dovuto, egli sosteneva, alla perdita dell'identità individuale
a causa della nostra cultura elettronica di coinvolgimento totale.
Tornava sull'argomento, esaminando le ripercussioni sulla liturgia, in un articolo
del 1974. "Uno dei più grandi paradossi del nostro tempo",
scriveva McLuhan, "è il disagio universale di sentirsi indesiderati.
Il grande incremento della mobilità comporta l'erosione di quelle forme
di comunità che conosciamo. Molti di noi incontrano quotidianamente persone
per la prima e unica volta, mentre è diventato raro incontrare i vecchi
amici".
L'informatica, infatti, ci mette quotidianamente in contatto con un gradissimo
numero di persone nel mondo, e proprio per questo ci sentiamo espropriati delle
radici spazio-temporali che tradizionalmente determinano l'identità personale
e sociale.
"In un mondo in rapido movimento e cambiamento", incalza McLuhan, "ognuno è nessuno, e il più grande statista, tolto dal contesto, potrebbe essere confuso con un lacchè. In termini liturgici, la perdita dell'identità significa perdita della vocazione religiosa, e il permissivismo morale significa perdita del bisogno della Confessione. Laddove molti ricorrevano alla Confessione e relativamente pochi alla Comunione, ora pochissimi si confessano, mentre molti ricorrono alla Comunione".
Un sintomo e, nel contempo, una causa di tutto ciò è, secondo il ragionamento sempre paradossale di McLhuan, l'introduzione del microfono nelle chiese (il mezzo non è forse il messaggio?): "L'amplificazione acustica sovraccarica il nostro canale sensoriale uditivo, abbassando la soglia di attenzione dell'esperienza visiva e individuale della liturgia così come dello spazio architettonico, isolando l'individuo in una "bolla di suono". L'identità personale è ridotta e livellata da questa risonanza".
Il microfono, in un solo colpo, ha reso obsoleti il latino e la struttura architettonica delle nostre chiese: "Non è praticabile parlare latino con il microfono, poiché plasma e intensifica il suono del latino fino a spogliarlo del senso. Per lo stesso motivo le casse acustiche posizionate nella chiesa per riversare il suono in tutte le direzioni hanno improvvisamente reso architettonicamente obsoleta la chiesa stessa", che era stata costruita per un officiante visivamente e acusticamente di fronte all'assemblea.
"In una parola", conclude McLuhan, "il microfono ha indotto i praticanti a richiedere gruppi più limitati di partecipanti. D'altra parte il microfono se da un lato rende al comunicatore così facile il compito di parlare a molti, dall'altro gli vieta le esortazioni e la veemenza. Il microfono, infatti, è un medium freddo".
Da queste e altre considerazioni si deduce che la crisi della liturgia ha cause
strutturali non sanabili dai soli liturgisti.
- articolo di Cesare Cavalleri
tratto dal quotidiano "AVVENIRE" del 19.02.03