Caso
Bartolucci. Maestro, qua si cambia musica
Ecco perché i registi delle liturgie papali hanno cacciato
lultimo grande direttore della Cappella Sistina
di Sandro Magister
Cè un ottimo autore di musica sacra che il 7 maggio
2002 ha compiuto 85 anni. E che per festeggiare la ricorrenza sta girando lItalia
a dirigere sue creazioni.
Ad esempio loratorio per soli, coro e orchestra La tempesta sul
lago, da lui composto alletà di 18 anni. In programma a Firenze
sabato 8 giugno alle 21.15 nel duomo di Santa Maria del Fiore.
Oppure la Missa Jubilaei del 1950. In calendario a Roma il 23 giugno
alle ore 12, nella basilica di San Lorenzo in Damaso.
Questo eccellente musicista è monsignor Domenico Bartolucci. Direttore
della Cappella Sistina dal 1956 al 1997. Che però non si ritiene affatto
decaduto. Perché ad vitam lo nominò Pio XII, secondo
le tradizioni, e ad vitam lui continua a considerarsi lultimo
successore legittimo del grande Giovanni Pierluigi da Palestrina.
Sta di fatto che cinque anni fa il Vaticano bruscamente lo cacciò. Senza
che letà lo giustificasse, visto lo stupefacente vigore con cui
Bartolucci ha continuato da allora a dirigere e a comporre.
La notizia, allepoca, non trovò risalto. Passò come episodio
dun Vaticano minore. Quando invece toccava sul vivo uno dei passaggi più
critici della Chiesa postconciliare. Il passaggio dallantica alla nuova
liturgia.
I mandanti della defenestrazione del Maestro Bartolucci furono infatti i registi
delle liturgie di massa care a papa Giovanni Paolo II: dal cardinale Virgilio
Noé al vescovo Piero Marini, maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie.
Mentre il critico più severo non della cacciata di Bartolucci
ma delle ragioni che la motivarono fu e resta nientemeno che il cardinale
Joseph Ratzinger. Segno della serietà del caso, perché Ratzinger
non è tipo che si spenda su cose di poco conto.
Per saperne di più di questo caso serio, oggi, nella sostanza, tuttaltro
che chiuso:
Retroscena
d'un licenziamento annunciato
(Da LEspresso del 18 dicembre 1997, n. 50)
Solo a ricordargli la serata rock di Bologna con Giovanni Paolo II e Bob Dylan,
il maestro Domenico Bartolucci sobbalza e ribolle. «Fossi stato il cardinal
Giacomo Biffi, mi sarei dimesso», taglia corto. Intanto però lui,
Bartolucci, lhanno dimesso per davvero, dimperio, nonostante sia
dal 1956 magister ad perpetuum della gloriosa Cappella Sistina e
porti con vigore i suoi più che ottantanni. Al suo posto, alla
direzione della più romana delle cappelle di musica liturgica, le autorità
vaticane hanno chiamato un forestiero dalla Sicilia, dal duomo di Monreale,
monsignor Giuseppe Liberto.
«È lultimo segno del mutamento di rotta voluto da Oltretevere
in materia di musica liturgica», commenta Giovanni Carlo Ballola, affermato
critico musicale ma anche diacono della Chiesa di Roma. Mutamento di gusti musicali?
Non solo. Molto, molto di più.
Bartolucci sfoglia lultimo libro del cardinale Joseph Ratzinger, prefetto
della Congregazione per la dottrina della fede, autorità che nella Chiesa
è seconda solo al papa. «Ecco qua. Lo riconosce persino lui. Lorigine
dei mali della Chiesa doggi è nella rottura che dopo il Concilio
Vaticano II sè fatta con la tradizione liturgica precedente. Rottura,
scrive testualmente Ratzinger, le cui conseguenze potevano essere solo
tragiche. Sentito? Tragiche. La Chiesa non sa quale tesoro perde abbandonando
il Gregoriano e la polifonia. Resista, maestro, resista!, mi ha
detto lo stesso Ratzinger incontrandomi alla messa di santa Cecilia, il 22 novembre
1996. Inutile. Pochi mesi dopo mi hanno buttato fuori».
Monsignor Liberto, il nuovo maestro della Sistina, la polemica la schiva. «Lultimo
libro di Ratzinger non lho letto». Nemmeno quelle poche pagine che
hanno fatto rumore? «No. Nemmeno quelle». Neppure i suoi saggi su
musica sacra e liturgia raccolti in Cantate al Signore un canto nuovo,
edito da Jaca Book? «No. Proprio non ne ho avuto il tempo».
Strano. Non cè esperto di musica sacra che non se li sia divorati
da capo a fondo. Oltre che superdottore di teologia, infatti, Ratzinger di musica
sa parecchio. In proprio e per grazia di famiglia. Suo fratello, Georg, è
stato per trentanni, fino al 1994, maestro della Cappella del duomo di
Ratisbona, la stessa dove aveva studiato Lorenzo Perosi, il predecessore di
Bartolucci alla Sistina. In questi decenni, la Cappella Sistina e quella di
Ratisbona sono state gli ultimi baluardi della musica liturgica allantica,
contro i novismi di marca postconciliare.
Naturalmente cè anche una lettura opposta degli avvenimenti. Se
per Ratzinger la «tragedia» è stata labbandono del
messale antico, per uno dei suoi più espliciti oppositori, larcivescovo
di Milwaukee Rembert Weakland, già primate dei benedettini confederati,
la «devastazione» è venuta dalla decisione contraria: lindulto
dato da Giovanni Paolo II e dallo stesso Ratzinger ai nostalgici che si ostinano
a celebrare con lantico rito e in latino. Decisione a suo avviso devastante
«perché ha dato limpressione che si possa rovesciare tutto
quanto il Concilio Vaticano II».
Oggi il destino della musica liturgica si dibatte proprio tra queste contrapposte
visioni catastrofiche. «E così, tra una musica antica quasi sparita
e una buona musica nuova ancora di là da venire», osserva Carli
Ballola, «si tira avanti col pasticcio di quellIstruzione vaticana
del 1967 che riconferma le scholae cantorum purché il popolo non
sia escluso dalla partecipazione al canto. Come questa mistura tra schola
e popolo sia praticabile, rimane uno dei misteri di santa romana Chiesa».
Risultato: per dar corso al pasticcio e far «partecipare» il popolo
alle messe papali cantate, da trentanni alla Cappella Sistina non rimane
più che poco spazio nei momenti «morti» del rito, nei quali
infilare brevi mottetti di polifonia o frammenti di Gregoriano. Delle magnifiche
messe polifoniche (Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus, Agnus Dei) del suo autore
sommo, il cinquecentesco Giovanni Pierluigi da Palestrina, neanche parlarne.
Archiviate. Per eseguirle, la Cappella deve andare in tournée concertistica,
allestero, negli intervalli tra una messa papale e laltra. Bartolucci
era a dirigere in Giappone quando dal Vaticano gli arrivò la notizia
che era stato destituito.
Viceversa, il successore Liberto le sue benemerenze se le è guadagnate
sul campo delle grandi liturgie di massa, rivelandosi abile trascinatore di
cori di popolo. Papa Karol Wojtyla ha potuto saggiarne le doti tre volte, in
Sicilia, in altrettanti suoi viaggi: a Mazara del Vallo, Siracusa e Palermo,
in messe da stadio o celebrate su spianate aperte fronte mare. Lha così
apprezzato che lha chiamato a Roma nel novembre 1996 a dirigere i canti
della messa in San Pietro per il suo 50.mo di sacerdozio. Altri cinque mesi
e lha messo a capo della Cappella Sistina.
Appena trapelò la notizia del cambio di direttore tra gli uomini di musica
dogni credo ci fu una sollevazione. LAccademia nazionale di Santa
Cecilia, laica anche se nata dalla costola della Sistina e fondata dallo stesso
Pierluigi da Palestrina, incaricò il suo presidente, lebreo Bruno
Cagli, di comunicare per iscritto al segretario di Stato vaticano, cardinal
Angelo Sodano, la «preoccupazione di tutti che possa andare disperso lincommensurabile
patrimonio religioso e artistico legato alla tradizione della polifonia romana».
Anche il maestro Riccardo Muti elevò la sua protesta. Ma in Vaticano
tirarono dritto. «Non vollero sentire il parere nemmeno del Pontificio
istituto di musica sacra, il conservatorio della Chiesa romana», aggiunge
Francesco Luisi, che al Pims insegna paleografia musicale rinascimentale ed
è prefetto della biblioteca.
Il Pims è un altro dei baluardi di resistenza della grande musica liturgica,
anchesso sotto tiro. Il suo penultimo preside, Giacomo Baroffio, studioso
e maestro del Gregoriano di fama mondiale, oltre che intransigente nemico dogni
compromesso modernista, fu cacciato in malo modo dalle autorità vaticane
nel 1995. E anche lattuale preside, Valentino Miserachs Grau, catalano,
è poco amato dagli uomini dell'entourage papale. Continua a dirigere
la Cappella Liberiana, quella della basilica di Santa Maria Maggiore, ultima
sopravvissuta assieme alla Sistina delle molte scholae cantorum romane dei secoli
doro. E fa di tutto per non deludere i suoi validi allievi del Pims, che
lì arrivano da tutto il mondo proprio perché convinti che Roma
sia sempre la patria eletta del Gregoriano e della grande polifonia sacra. Con
risultati eccellenti. Per una verifica, si vada alla messa che docenti e allievi
cantano ogni domenica alle 10 e mezza nella chiesa del Pims di via di Torre
Rossa 21. Al termine, uno si chiederà come è possibile che una
liturgia così musicalmente preziosa e così densa di risonanze
cattoliche si celebri quasi clandestina, proprio nel cuore geografico della
Chiesa cattolica apostolica romana.
La risposta è che il paradigma musicale e liturgico vincente è
cambiato, al centro della cristianità. La Sistina è per statuto
la cappella del papa, il coro delle sue messe. E le messe di Giovanni Paolo
II sono appuntamento fisso con le moltitudini. Sono messe da mondovisione. Via,
quindi, le polifonie cinquecentesche e i responsori altomedioevali. Largo a
inni e acclamazioni di massa, al passo con la modernità. «Con lAnno
Santo avremo sempre più messe papali, e noi dovremo esserci», annuncia
il nuovo direttore della Sistina. Ai suoi 20 tenori e bassi e ai suoi 25 pueri
cantores, il compito daccompagnare la liturgia pontificia del Duemila.
Non sarà il primo esilio, per la gloriosa Cappella. Già una volta
ha seguito i papi nella cattività dAvignone.
tratto da
http://www.chiesa.espressonline.it