LA
PRODUZIONE MUSICALE PER LA LITURGIA IN ITALIA DOPO IL VATICANO II
(XXXII Seminario di Studio. La musica nelle antiche civiltà mediterranee)
Venezia, Fondazione Ugo
e Olga Levi, 21-23 ottobre 2004
In collaborazione con lAssociazione
culturale «Il Saggiatore musicale» di Bologna
Il 3 marzo 1999, per iniziativa dellAssociazione «Il Saggiatore
musicale» e del direttore dellomonima rivista, Giuseppina La Face
Bianconi, venne organizzata nel Dipartimento di Musica e Spettacolo dellUniversità
di Bologna una giornata di studio dal titolo Gregorio Magno, il Palestrina,
Bob Dylan: la Chiesa di fronte alla musica. A questo primo dibattito sulla
musica nella liturgia ne seguì un secondo, il 3 maggio 2003, sul tema
La Parola di Dio in musica: i canti per la liturgia della Messa, sempre
voluto e organizzato dal «Saggiatore musicale», in collaborazione
con il Centro la Soffitta del Dipartimento bolognese.
Sulla scia di quelle due giornate di studio si colloca il seminario su La
produzione musicale per la liturgia in Italia dopo il Vaticano II, che la
Fondazione Ugo e Olga Levi ha celebrato, col coordinamento di Antonio Lovato
e Cesarino Ruini, oltre che del presidente del proprio comitato scientifico,
Giulio Cattin, nella prestigiosa sede di palazzo Giustinian Lolin a Venezia
dal 21 al 23 ottobre 2004.
Il contributo di questo seminario alla tematica affrontata è consistito
in una riflessione sugli esiti che i dettami del Concilio Vaticano II
in particolare la legittimazione delluso della lingua madre e lincoraggiamento
alla partecipazione dellassemblea alla celebrazione hanno determinato
nellambito della produzione musicale destinata alla liturgia, riflessione
centrata sul confronto tra i differenti repertorii che ne sono derivati.
Su questa linea si sono orientate le relazioni delle due prime giornate, che
hanno fornito gli spunti per la tavola rotonda dellultima.
Il professor Virginio Sanson, docente di liturgia nellIstituto Superiore
di Scienze Religiose del Triveneto e di teologia nel Seminario di Vicenza nonché
esperto di musica, ha introdotto il tema del convegno con una relazione sui
Caratteri specifici della musica liturgica dopo il Vaticano II: forme e stili.
La situazione attuale è stata rapportata al magistero della Sacrosanctum
Concilium, che dichiara quali debbano essere le caratteristiche stilistiche
della musica santa: facilità, chiarezza, nobile semplicità,
opportuna brevità, comunitarietà. Sanson ha ricordato
quanto sia importante, per il compositore che si dedichi a questa produzione,
confrontarsi con un liturgista, in modo da adempiere la funzione che i canti
sono chiamati a svolgere nella celebrazione. Una parte della relazione è
stata dedicata alluso degli strumenti musicali: essi sono ben accetti
dalla Sacrosanctum Concilium, purché il modo di suonarli e il
genere musicale siano compatibili con lo spirito della liturgia. Ladozione
di strumenti diversi dallorgano andrebbe fatto gradualmente, il che invece
non è avvenuto per gli strumenti tipici della musica cosiddetta giovanile
(chitarre, percussioni, flauti, ecc.). Liniziativa musicale in campo liturgico
da parte di gruppi giovanili, sviluppatasi quasi a lato dei movimenti di protesta,
ha preso un po alla sprovvista coloro che avrebbero potuto fare un serio
lavoro di arricchimento delle possibilità espressive per i nuovi strumenti.
Il professor Sanson ha non solo offerto un quadro della situazione attuale nella
musica liturgica, ma ha anche fornito indirizzi per un percorso da seguire onde
migliorarla.
Il professor Alberto Melloni, storico contemporaneo nellUniversità
di Modena e Reggio nellEmilia, nonché membro della Fondazione per
le Scienze religiose "Giovanni XXIII" di Bologna, ha fornito un rendiconto
rivelatore sulla pratica musicale nel cattolicesimo italiano doggi, sotto
il titolo Prassi liturgico-musicale nella periferia della Chiesa italiana:
analisi di alcuni casi. Linteresse del tema affrontato è anche
storiografico, giacché considera la Chiesa comè, come vorrebbe
essere e come dovrebbe essere, rispetto ai dettami del Concilio Vaticano II.
Lindagine di Melloni è stata condotta su diversi repertorii in
uso in parrocchie di città e di periferia o campagna: ne è emerso
il panorama, quanto mai eterogeneo, di una produzione musicale che del magistero
non applica invero granché. I movimenti ecclesiali e le comunità
sono i principali fautori di un genere musicale spesso non legato alla liturgia,
anonimo, assoggettato a logiche di mercato. Melloni ha fornito uninteressante
esemplificazione di canti, a partire dal 1959, che suffragano la ricostruzione
e gli consentono di affermare che dopo il Concilio i vescovi hanno pensato
a disciplinare e non a insegnare. Secondo lo studioso, occorrerà
che gli storici della musica, e con loro quelli della chiesa, si dedichino allarcheologia
del tempo presente, raccolgano i molti e diversi canti in uso e recuperino
anche le Messe trasmesse ogni domenica dalla RAI, dal Concilio in poi, preziose
testimonianze di un cammino e di un sentire cristiano che negli anni si è
andato evolvendo, non senza smarrimenti.
Il professor Raffaele Pozzi, docente di Musicologia allUniversità
di Roma Tre, su Musica darte e liturgia in Italia: esperienze e prospettive,
ricollegandosi alla relazione da lui svolta a Bologna nel marzo 1999, ha puntualizzato
che i documenti del Vaticano II, contrariamente ad un distorto giudizio diffusosi
nel periodo postconciliare, non contengono indicazioni esclusive nei confronti
della musica colta contemporanea a vantaggio delle forme oggi prevalenti, basate
sui modelli della musica di consumo commerciale. La prassi odierna, instauratasi
grazie ad una lettura tendenziosa e ad uninterpretazione demagogica del
dettato conciliare, stante la deplorevole mancanza di un autentico pluralismo
delle proposte e di un controllo sulla qualità estetica della musica
liturgica da parte dellautorità religiosa, ha assunto unimpropria
autorevolezza. Secondo Pozzi, i risultati negativi di questo laissez faire
sono oggi tristemente visibili: i canti eseguiti durante la liturgia sono pericolosamente
prossimi, sotto il profilo testuale e musicale, alle più scadenti produzioni
propinate dall'industria culturale di massa. Tale contiguità favorisce
una partecipazione alienata al rito e alla preghiera e si rivela, proprio per
carenza estetica, lesiva del senso del sacro. Tra gli sporadici significativi
episodi di produzione musicale liturgica che indicano una possibile alternativa
alla situazione dominante, è da ricordare la Messa degli Artisti, voluta,
fin dal 1941, da monsignor Ennio Francia nella chiesa di S. Maria di Montesanto
a piazza del Popolo a Roma. In questo ambito nacquero composizioni di musicisti
quali Casella, Fusco, Petrassi, Pizzetti, Rota, Tommasini, Turchi, concepite
nel segno del connubio tra arte e funzionalità liturgica. La Messa degli
Artisti fu accolta favorevolmente anche dalla Santa Sede, che la ospitò
in Vaticano nel 1964; dallomelia pronunciata da Paolo VI in quelloccasione
Pozzi ha ricordato alcuni passi che costituiscono un eccezionale documento,
anche storico-musicale, di un possibile incontro tra arte contemporanea e liturgia,
in seguito realizzato, purtroppo, solo episodicamente. Una lodevole recente
iniziativa in tal senso è rappresentata dal Laboratorio di Musica Contemporanea
al Servizio della Liturgia, promosso da Don Luigi Garbini presso la Diocesi
di Milano, che ha stimolato composizioni di autori quali De Pablo, Donatoni,
Gorli, Morricone, Pennisi, Petrassi, Solbiati, specificamente pensate per il
rito della Messa, entro il quadro delle indicazioni liturgiche diocesane. Tali
composizioni intendono convogliare i fedeli in uno spazio sonoro e ideale elevato,
adeguato alla santità del rito e volutamente distaccato dal panorama
musicale quotidiano.
Nel pomeriggio il professor Guido Milanese, filologo e musicologo (Università
Cattolica del Sacro Cuore, Milano), in una relazione sul tema Da Pustet al
tradizionalismo del 2000, ha svolto unanalisi del tradizionalismo
cattolico. Dopo aver rammentato che le attuali normative consentono la celebrazione
del rito tradizionale (Messale del 1962) come una delle forme possibili della
liturgia cattolica, ha tracciato un rapido schizzo storico sui movimenti tradizionalisti,
non tanto in Italia (dove il tradizionalismo è marginale) quanto soprattutto
in Francia, Inghilterra, Stati Uniti. Quanto al canto gregoriano, la relazione
ha evidenziato come, tra Ottocento e Novecento, intorno alla sua esecuzione
si siano succedute ben due false tradizioni: dal 1868 venne percepita
come tradizionale la versione della Medicea (una delle varie
ricomposizioni del canto liturgico proposte nei secoli XVI-XVII),
pubblicata con privilegio pontificio dal Pustet a Ratisbona; con il nuovo secolo,
nel giro di un paio di generazioni, il ruolo di rappresentare la tradizione
venne trasferito allEdizione vaticana, in cui era confluito il metodo
elaborato sullo splendido lavoro di ricerca dei monaci di Solesmes, considerato
pericolosamente rivoluzionario solo un ventennio prima. L'attuale tradizionalismo,
che per comprensibili ragioni identitarie tende a riproporre en bloc
la situazione liturgica precedente il Messale di Paolo VI, assume purtroppo
questo falso concetto di tradizione in modo spesso passivo, anche se non mancano
esperienze di grande apertura in parecchie chiese francesi e, in alcuni casi,
negli USA e in Italia. Il contributo dato dalle chiese che seguono la liturgia
tradizionale alla questione della musica liturgica cattolica nel suo complesso
può ravvisarsi (1) nel recupero delle vere proposizioni del Vaticano
II, che mai impose o propose l'abolizione del latino, del gregoriano e della
polifonia; (2) nel custodire, per tutta la cattolicità, il rapporto vitale
tra queste forme musicali e la pratica liturgica.
Il professor Antonio Lovato, storico della musica nellUniversità
di Padova, ha illustrato Il dibattito per una nuova pedagogia della musica
liturgica. Il relatore è partito da esperienze personali vissute
da protagonista come membro di gruppi giovanili che, precocemente impegnati
nel rinnovamento dellanimazione musicale del rito, lo fecero incontrando
comprensibili ostilità nel magistero ecclesiastico: i loro modelli, fra
laltro, erano facilmente stigmatizzabili come musica scadente.
Tra le tante questioni, anche musicali, poste dalluso della lingua viva,
legittimato dalla riforma del Vaticano II, una riguardava chi dovesse creare
il nuovo repertorio. Alcune riviste specializzate affrontarono il problema in
chiave pedagogica, puntando sulla possibilità che le vecchie distanze
tra le varie componenti dellassemblea liturgica si potessero superare
mediante la musica, la cui valenza educatrice si esplica con efficacia, quando
è libera da atteggiamenti preconcetti nei confronti dei modi di comunicare
e delle espressioni in cui una comunità si riconosce. Si è aperta
in tal modo la strada al relativismo estetico e ad una apparentemente incontrollabile
pluralità di repertorii. Si impone oggi la necessità di riformulare
il percorso formativo, anche coinvolgendo musicisti professionisti che ammaestrino
le Scholae e affinino la sensibilità delle assemblee, in modo
da ricostituire la sintonia tra fedeli e magistero.
A conclusione della prima giornata la professoressa Daniela Branca Delcorno,
filologa nellUniversità di Bologna, ha presentato le Osservazioni
di una italianista sul linguaggio dei canti liturgici dopo il Vaticano II.
In apertura la studiosa, prendendo spunto da Giuseppe De Luca e da Giovanni
Pozzi, ha tracciato a grandi linee le coordinate del rapporto che storicamente
collega, nella poesia italiana, lespressione della religiosità
alla cultura letteraria: dei due filoni che si possono riconoscere la
linea della devozione pauperistica e sentimentale che discende da santAlfonso
Maria de Liguori, e quella della meditazione teologico-intellettuale che
si compendia negli Inni sacri del Manzoni , appare evidente come
il primo abbia generalmente avuto il sopravvento. Proprio il filone alfonsiano,
così esposto alle seduzioni della dolcezza svenevole e languida, dà
limpronta preponderante alla produzione odierna di canti religiosi, ma
degradato fino allinconoscibilità. Nel copioso campionario di canti
esibito dalla Branca Delcorno si osserva che la mediocre qualità letteraria
versificazione spesso sciatta e trascurata, registro stilistico oscillante
tra gli stereotipi della tradizione lirica e lostentata quotidianità
saccompagna ad una ben scarsa consapevolezza teologica. La dovizia
dimmagini poetiche offerta dai Salmi può, in qualche caso, alimentare
espressioni liriche biblicamente plausibili e letterariamente dignitose (è
il caso delle traduzioni prodotte da padre David Maria Turoldo). [Donatella
Righini, dottoranda in Musicologia presso lUniversità di Firenze]
La seconda giornata, improntata alla verifica di situazioni specifiche,
riferite alle esperienze di compositori e animatori liturgici, si è aperta
con la relazione di Cristina Di Zio, musicista, musicologa e animatrice liturgica,
che ha esposto i risultati di unattenta indagine statistica effettuata
nella diocesi di Pescara-Penne (un questionario, sottoposto ai parroci di 129
parrocchie di una zona del centro Italia, area geografica distante dal Nord-Est,
su cui forse per attrazione naturale è stata altrimenti
improntata gran parte del seminario). La studiosa ha rilevato una certa vitalità
musicale con unattiva presenza di cori dediti allesecuzione di generi
diversi, con brani non sempre consoni alle esigenze liturgiche. Scarsa è
la partecipazione dellassemblea, che nella maggior parte dei casi si limita
a seguire il coro. Altrettanto insoddisfacente è il ruolo del celebrante:
le parti che lo vedrebbero impegnato come solista sono spesso recitate. Lo strumento
più utilizzato risulta essere la chitarra, tra i compositori più
eseguiti spicca Marco Frisina, del quale la relatrice ha proposto lascolto
di alcuni brani a titolo desempio. Gli esiti conclusivi dellindagine
hanno messo in luce la mancanza di unadeguata formazione musicale e liturgica
degli animatori, direttori di coro e in parte anche degli stessi sacerdoti.
Diego Toigo, direttore di formazioni corali, organista e latinista, ha presentato
i risultati di una ricerca, effettuata nella zona alle pendici del Monte Grappa
e incentrata sui canti dellOrdinario della Messa (Intonazioni per lOrdinario
della Messa tra neo-cecilianesimo e modernità). La sua analisi si
è concentrata su una serie di composizioni del periodo compreso tra gli
anni 60 e 90, che ha trovato largo favore presso le assemblee di
quellarea geografica. In particolare si è soffermato su alcune
messe, in genere contraddistinte da una ostentata semplicità (polifonia
da due a quattro voci), che ha avuto grande presa sul pubblico in una zona in
cui la tradizione dei cori di montagna ha radici profonde. Ha poi proposto lascolto
di diversi esempi tratti dalla Messa Vaticano II di Luigi
Picchi, dalla Messa Italiana di Bruno Bettinelli, dalla Messa Giubilare
di Domenico Bartolucci e dalla Messa degli Umili di Roberto Hazon, evidenziando
le diversità di scrittura e il vario grado di eseguibilità da
parte dei cori parrocchiali.
Marina Valmaggi, cantautrice, e Pippo Molino, compositore e docente al Conservatorio
di Milano, sono entrambi esponenti di Comunione e Liberazione, un movimento
sorto in Italia a ridosso degli anni del Vaticano II. La Valmaggi, con lintervento
Liturgia o Animazione?, ha analizzato il fenomeno dei cantautori, sottolineando
gli aspetti personali della sua esperienza e dei suoi rapporti con Claudio Chieffo,
Stefano Pianori e altri. Nei loro brani i cantautori hanno inteso esprimere
lincontro con Dio, la preghiera, il contenuto di fatti evangelici; ogni
canto nasce come espressione di una grande ed evidente realtà di comunione
e di amicizia nella fede vissuta, non solo durante la celebrazione liturgica,
ma anche in tutti momenti comunitari di svago e divertimento. La forza comunicativa
di questi canti, scritti da giovani-con-la-chitarra, costituisce uno dei loro
maggiori pregi, anche se sulla loro scia è sbocciata una serie di brani
di scarsa qualità con testi scadenti, giri daccordi rubati
alla musica leggera, stile esecutivo mutuato dai cantanti alla moda. Pippo Molino,
con un intervento dal titolo La valorizzazione della tradizione e delle nuove
produzioni nella prassi liturgico-musicale di alcune esperienze ecclesiali,
ha riportato la sua esperienza di direttore di coro nella sua parrocchia e nei
meeting regionali di CL, dove le celebrazioni liturgiche prevedono limpiego
di canti con caratteri e matrici molto diversi: polifonia classica, lauda filippina,
semplici canti monodici di recente composizione, aperti però ad accogliere
suggestioni stilistiche da tradizioni diverse. Trovando realizzate in ununica
celebrazione eucaristica le loro aspettative musicali, i fedeli partecipano
con maggiore convinzione alla messa e al canto dellassemblea.
Don Pierangelo Ruaro, sacerdote, compositore e direttore dellUfficio liturgico
della Diocesi di Vicenza, con Interpretare la fede di una comunità:
le esperienze di un compositore ha raccontato la sua condizione di cristiano
alla ricerca di formule musicali idonee ad esprimere la fede delle comunità
nelle quali si è trovato ad operare. Ha incentrato la relazione su alcuni
elementi che mai dovrebbero mancare in una composizione liturgica: la consapevolezza
che la messa è una festa di nozze e il compositore ha il
compito, attraverso la musica e il canto, di aiutare i fedeli allincontro
con Dio. Il suo ruolo è quello di chi, al servizio degli altri e mantenendosi
nellombra per lasciare al centro Cristo, condivide la vita di una assemblea
cristiana, indirizzandola con il canto e la musica a far risaltare la dimensione
comunitaria della propria preghiera.
Paolo Somigli, dottore di ricerca allUniversità di Bologna, con
una relazione dallintrigante titolo Il mio Credo è
come un rock, ha affrontato alcuni aspetti della musica liturgica giovanile
in prospettiva storica. Articolando lintervento in quattro parti, ha ripercorso
le tappe che hanno portato la musica giovanile ad affermarsi come
fenomeno sociale, si è soffermato sul ruolo attribuito ai giovani nella
vita ecclesiale, ha proposto e commentato una serie di esempi significativi
di musica liturgica per i giovani e compiuto interessanti riflessioni sui legami
profondi tra alcuni aspetti di questa produzione liturgica negli anni 60,
70, 80 e 90 e le tendenze della musica di consumo, caratterizzata
da atteggiamenti di rottura col mondo degli adulti o, per altri versi, improntata
a forme di spiritualità alternativa.
La tavola rotonda dellultimo giorno, coordinata da Giulio Cattin, è
stata animata da numerosi confronti su temi che toccano la vita quotidiana della
maggior parte dei partecipanti. La principale difficoltà emersa sta nel
riuscire a conciliare le realtà esistenti, molto diversificate nelle
varie zone della penisola, con la qualificazione del repertorio e delle esecuzioni:
lobiettivo di far partecipare lassemblea alla liturgia attraverso
il canto e lascolto, al fine di accrescere in ognuno la personale esperienza
di fede, si scontra molto spesso con la scarsità di mezzi e di risorse
umane. Antonio Lovato, al termine, ha tratto le conclusioni, compiendo alcune
riflessioni in prospettiva futura. Innanzi tutto, attraverso le varie relazioni
si sono potuti delineare alcuni tratti della situazione vigente, da cui è
emersa una grande varietà di realtà parrocchiali e una generale
carenza a livello qualitativo. Ciò non deve spingere al pessimismo ma
al contrario stimolare ad agire, per far sì che la musica diventi un
elemento qualificante delle celebrazioni liturgiche. Propone nuove indagini
sul modello di quella compiuta da Cristina Di Zio per sondare altri ambienti,
ma lapprofondimento della conoscenza sarà fecondo se, sulla sua
scorta, si attiveranno collaborazioni con istituzioni, sacerdoti, animatori
liturgici, direttori di coro, affinché, nel rispetto degli usi e delle
abitudini delle varie comunità, una musica artisticamente qualificata
diventi il mezzo per una espressione di fede sempre più autentica. [Stefania
Roncroffi, dottoranda in Musicologia presso lUniversità di Bologna]