GIACOMO
BAROFFIO
Liturgia in-canto
Che cosè la liturgia
cristiana? La liturgia è lo spazio dove D-i-o hic et nunc
si fa presente al popolo credente. A modo suo. Egli offre la sua Parola che
abbatte ogni barriera. Partecipa la sua stessa vita a quanti considera figli.
Si rende nutrimento di quanti sono affamati di giustizia. Svela il suo splendore
a coloro che a tastoni ricercano la verità. Nella celebrazione, tuttavia,
prende consistenza una tensione tra il "già e non ancora" che
fa spazio anche a un D-i-o trascendente, inaccessibile. È il tuttAltro
che non solo provoca sino all'estremo delle resistenze umane con il suo silenzio,
ma si sottrae anche alle pretese della conoscenza razionale rivelandosi ineffabile,
al di là di ogni pensiero ed immaginazione.
* * *
La liturgia non è una bella idea con cui trastullarci e che possiamo
manipolare a capriccio. La liturgia è una realtà spirituale concretissima,
ha una vitalità intrinseca propria, esiste paradossalmente anche al di
qua e al di là delle singole celebrazioni. È sempre presente perché
incessantemente si celebra la liturgia celeste di cui quella terrena è
solo un pallido anticipo. È sempre attuale perché è sacramento
della presenza di D-i-o nel cuore del credente e nella storia delluomo.
La liturgia attende tra laltro di poter esprimere la fede nella forza
dello Spirito con un canto che non sia musica bensì preghiera.
* * *
La liturgia è un gioco che mette in gioco tutti. La liturgia è
il tempo e lo spazio dove tutti si giocano tutto: D-i-o-, la comunità,
la singola persona. Esperienza impegnativa che esige la donazione di sé.
Senza riserve, senza resistenze, senza titubanze, senza musonerie. Leggerezza
del cuore che si ritrova libro e sereno a giocare. Audacia dei figli. Nella
fede, e pur sempre in parte incoscienti, giocano con D-i-o, lo chiamano papà.
* * *
La celebrazione liturgica è in primo luogo una realtà spirituale,
è quanto si vive nella forza dello Spirito prolungando nel tempo e nello
spazio lazione stessa di Cristo. Ciò non sottrae la liturgia alle
categorie della cultura, anzi la colloca nella radice della situazione sociale
quale fonte e culmine dogni attività del credente, che vive la
storia con un linguaggio e tutta una serie datteggiamenti interpersonali
propri dellambiente in cui vive. La liturgia si radica nella storia umana
e trae dal tessuto culturale le forme e le espressioni necessarie per costruire
e gestire la celebrazione: i differenti linguaggi della parola, della musica
e delle immagini sono mutuati da un preciso orizzonte che s'intreccia con le
vicende storiche e politiche di una comunità.
* * *
La liturgia non è un laboratorio sperimentale dove ci si possa
divertire a manipolare ogni cosa. È loratorio dove si entra in
punta di piedi, dove siamo chiamati ad ascoltare e ad accogliere la Parola di
D-i-o nella preghiera e nelladorazione.
* * *
Quando si entra nellambito della liturgia, bisogna sapere che sono
vigenti categorie diverse rispetto al mondo sociale, laico o ecclesiastico che
sia. Ci si pone esplicitamente alla presenza di un D-i-o che, al limite, potrebbe
sembrare assente, ma che pure è lì: interpella e provoca il credente
con la sua Parola ed il suo silenzio, entrambi profondamente intrecciati e sempre
eloquenti ed insieme enigmatici. Forza travolgente che penetra nel cuore orante
colmandolo di pace dopo averlo svuotato e purificato con il tormento della ricerca
e dellascolto diuturno.
* * *
La liturgia è un cammino mistico. Nonostante che i suoi
testi e i suoi riti siano fissati con sempre maggior cura e meticolosità
prima nei manoscritti e poi nei libri a stampa, il suo svolgersi nella storia
della comunità e del singolo credente attraversa momenti inediti di luci
e ombre, certezze e smarrimento, serenità e angoscia.
* * *
La liturgia è il momento forte di un'esperienza che coinvolge
e travolge il credente. Non può essere vivisezionata e scomposta in alcuni
elementi che pur ci sono, ma che in definitiva restano secondari. Parole, gesti,
canti, azioni rituali possono essere oggetto di investigazioni storiche
e teologiche. Sono, infatti, elementi presenti in ogni celebrazione ed hanno
tutti una storia affascinante: elementi necessari, ma sempre insufficienti per
spiegare il dono di D-i-o. Egli irrora con il suo Spirito il cuore in adorazione
che la grazia sull'incudine del quotidiano plasma sul modello del cuore di Cristo,
rivelazione dell'amore infinito del Padre. Per tale motivo, ciò che nel
profondo della persona avviene nel momento della liturgia rimane fuori di ogni
calcolo e categoria razionale: è semplicemente indicibile, è una
realtà in cui l'amore di D-i-o fa breccia nell'ottusità della
persona umana e le conferisce una nuova dignità, quella del figlio. Ciò
che i figli sono per i genitori e ciò che i genitori sono per i figli
non si può dire a parole: solo lo sguardo di tenerezza e di riconoscenza
nel silenzio può lasciar intuire qualche frammento di infinito e di eterno.
* * *
Cè un unico luogo in cui si celebra la liturgia: il profondo
del cuore, animato e reso fecondo dallo Spirito. La liturgia del cuore ha
nellazione ecclesiale la sua visibilità esterna ed è autentica
nella misura in cui riesce a essere segno e anticipazione della liturgia del
cielo, nella pienezza del regno di D-i-o.
* * *
La liturgia si pone nella vita quale esperienza di D-i-o in un contesto
ben preciso: la preghiera. Un atteggiamento nascosto di totale abbandono a D-i-o:
fede, fiducia, confidenza sono alcuni aspetti di un cristallo dalle mille sfaccettature
il cui splendore illumina ed insieme acceca, inchioda l'esistenza all'asperità
del quotidiano e la solleva in un movimento di speranza. La preghiera è
la risonanza che prende corpo nel cuore quando si avverte - forse contro ogni
indizio e convinzione razionale - che D-i-o è presente. D-i-o padre e
madre, potente e delicato, affermazione ed attesa, esigente ed indulgente, che
mette sottosopra il cuore e lo getta in un tumulto da cui lo ritrae per affidarlo
alla gioia della pace e dell'ordine. Il pregare comporta anche espressioni verbali,
il dire le preghiere, significa però soprattutto stare all'erta, essere
in ascolto per percepire il minimo fruscio che potrebbe rivelare l'avvicinarsi
di Dio, meglio: il nostro avvicinarci a Lui dopo tanti tormenti, itinerari contorti,
dubbi, incertezze, rifiuti, dimenticanze, pentimenti. La preghiera è
il nostro essere autentico quando prendiamo coscienza di chi siamo - figli di
D-i-o - e re-agiamo alla sua presenza nella nostra vita. Quando dal cuore, incontenibile,
sale una melodia. Senza parole, con tutta la nostra vita.
* * *
Nella comunità cristiana ci sono persone istruite che sanno penetrare
nel significato del messaggio liturgico attraverso profonde analisi filologiche
e storiche. Ci sono umili servi e ancelle che, teodidatti, sono illuminati dallo
Spirito e senza capire nulla o quasi, comprendono tutto o quasi. Nella liturgia
l'esperienza comune dello Spirito permette alla comunità di trovare un
suo equilibrio profondo: sono abbattute le barriere del censo e dell'età,
tutti si ritrovano figli di un unico Padre, fratelli e sorelle più di
quanto possa creare il vincolo del sangue. Sul fondamento di un'unica fede e
di un'unica figliolanza, la comunità si costituisce in famiglia. Intorno
alla mensa della Parola e del Corpo/Sangue di Cristo nasce l'unione dei cuori
che trasforma l'individualismo in componente d'aggregazione, il talento personale
in dono comunitario.
* * *
Se la partecipazione alla liturgia vuole inglobare il canto, è
necessario affermare la priorità dell'essere sul fare. Occorre, cioè,
ripensare i progetti pastorali in modo che i singoli e l'assemblea tutta siano
aiutati a vivere la responsabilità della vocazione battesimale quali
creature di fronte al Creatore, quale fratello/sorella nella comunità
dei figli di D-i-o, nella capacità di operare a tempo debito i necessari
distacchi e compiere la conversione esigita dall'incontro con D-i-o. Chi vive
queste esperienze, al di là delle proprie attitudini e capacità
artistiche, sentirà sgorgare dal profondo del cuore il canto della
vita. Il dare voce a tale canto attraverso la musica dipende da tanti fattori;
l'importante è che alle labbra affiori il canto del cuore, non una qualche
melodia estranea.
* * *
D-i-o esige che si sgombri totalmente il terreno, che non ci sia posto per nessun
altro: solo così lo si può accogliere quale Signore assoluto ed
indiscusso della vita. Tutto ciò che c'è stato prima della liturgia
scompare. Il che comporta lo spezzare vincoli familiari, il sacrificare
aspirazioni legittime: è, in piccolo, ma sempre cruda, l'esperienza
di Abramo chiamato a sacrificare il figlio Isacco. Nel momento in cui ci
si inoltra verso il roveto ardente, il fuoco distrugge solo le scorie. Nella
celebrazione ci si ritrova con il cuore purificato, capace di ospitare, nel
senso più nobile del termine, tutte le persone ed i pensieri che si erano
abbandonati a fatica. Lo spazio interiore che D-i-o sembrava aver confiscato
unicamente per sé, si dilata senza confini: diviene accoglienza misericordiosa
del prossimo, capacità di rinnovata riflessione e impegno civile.
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Nel modo con cui si è entrati nella liturgia, così si esce. Con
il rischio che nulla sia successo e possa accadere. Se il presente liturgico
non è esistito, il futuro della vita non sarà altro
che la continuazione di un passato senza volto. La liturgia diviene sterile,
la celebrazione è solo fonte di tedio, il quotidiano si dissolve nel
grigiore.
* * *
La liturgia nel corso dei secoli ha cercato diversi linguaggi per
aiutare il popolo cristiano a vivere unesperienza di fede. Sono in primo
luogo le molteplici espressioni poetiche che trovano varie concretizzazioni.
Sono le forme architettoniche che sinnalzano al cielo elevando il cuore
a D-i-o. È lo sfavillio dei colori della pietra e degli intonaci, ma
soprattutto delle vetrate: esse filtrano e ravvivano fasci di luce che illuminano
lo spazio delledificio e gli spazi interiori dellassemblea orante.
È il flusso delle parole che rivelano alluomo la Parola
del Padre e fanno a giungere al cuore del Padre le lodi e i gemiti dei figli.
Parole divine e umane che il canto sorregge e diffonde con una forza sempre
nuova verso lincanto dellincontro con una Presenza che nasce dal
silenzio e al silenzio riconduce rinnovati dalla grazia.
* * *
La dimensione religiosa della vita trova grandi ostacoli in tante manifestazioni
fraudolente che si sostituiscono alla realtà: un certo tipo di religiosità
- falsa - si sostituisce alla fede. Un facile, benché scandaloso servilismo,
sembra esonerare dal prendere su di sé le proprie responsabilità.
Un formalismo rituale, preciso sino nell'ultimo particolare, è
contrabbandato come se fosse l'anima del celebrare i santi misteri. In questo
orizzonte l'incidente più grave e nefasto colpisce gli uomini che spesso
abdicano alla propria dignità e, così facendo, sgretolano
dalle fondamenta l'impianto sociale. Si rinuncia - talora anche per violenza
esterna - ad essere persona perché in certi momenti ciò
costa sacrifici, e notevoli; ma ci si lascia trasformare in mero numero nell'ingranaggio
consumistico o in anonima pratica all'interno di un mostruoso apparato burocratico
dove tutto sembra svolgersi senza intoppi. L'anonimato, infatti, guida la regia
di questa farsa, una rappresentazione balorda che finisce per trasformare le
persone in pagliacci di carta, senza testa, senza cuore: nella famiglia, nella
vita sociale, nella celebrazione liturgica.
* * *
La musica è l'apologia della fede più genuina (J. Ratzinger):
essa rivela ciò che si crede, Colui in cui si crede, come si crede, al
di là di tanti discorsi che soltanto confondono e illudono. Dimmi che
cosa canti, come canti e ti dirò in chi credi. Non si pretende che tutta
la musica sia eccelsa e che tutti siano musicisti provetti. La passione che
persino uno stonato mette nel cantare la sua fede con melodie tradizionali del
popolo cristiano - semplici, ma profonde - dice la fede molto più di
un'enciclopedia teologica. La sobria melodia del Pater noster gregoriano
permette di dire Babbo all'Ineffabile, nel tremore e nella gioia di una
fede che non si lascia illudere dallo sfavillio di specchietti per allodole
come sono le catechesi misticheggianti ed esotiche oggi in voga
e praticate per accalappiare la gente, con la convulsa e fallimentare mira di
riempire le chiese, invece di preoccuparsi, come diceva un saggio, di colmare
i cuori di quanti sono alla ricerca di LUI.
* * *
Domine labia mea aperies. Nella triplice invocazione - preziosa eredità
dell'ebraismo che nella notte inizia la preghiera del giorno - il cristiano
avverte tutta la sua impotenza: la preghiera è sempre dono gratuito del
Padre. Segno del suo affetto è poterlo ascoltare, potergli parlare. Chi
salmodia nel coro, chi siede in disparte, chi si prostra in adorazione: il canto
della salmodia non induce al sonno, bensì ridesta il desiderio del Tabor:
vedere Gesù, stare con Lui. Con Maria restare seduti ai suoi piedi, levare
lo sguardo, innalzare un canto ...
* * *
Chi non è presente ai vespri, può supplire e prolungare il canto
scandendo le parole del Magnificat, spesso senza riuscire ad andare oltre
la prima parola, perché con essa dice già tutto ciò che
vive. La Madonna è madre e sorella, a lei ci si rivolge superando le
titubanze che spesso si avvertono di fronte al Cristo: può egli aver
sempre misericordia di noi tapini? Non si stancherà mai? La Madonna è
più abbordabile, è una di noi. E così, alla fine della
compieta, l'ultima espressione della giornata è rivolta a lei, virgo
mater ecclesiæ, con il canto della Salve regina, Alma Redemptoris
mater, Ave regina cælorum, Regina cæli lætare ... La letizia
della persona che si lascia semplificare dallo Spirito attraverso la pialla
delle contrarietà quotidiane, non subìte con rassegnazione, bensì
affrontate con audacia e coraggio, non nella ribellione, ma nella pace e nel
silenzio.
* * *
La preghiera liturgica insegna a mettersi su una certa lunghezza d'onda che
è autonoma rispetto al caos mondano, che si pone al di fuori di esso
per poterlo avvicinare e riscattare dal male, dalle brutture, dal peccato. Alla
scuola della preghiera quotidiana e continua, il battezzato accoglie il dono
della sapienza ed il gusto delle cose di D-i-o. Riesce a coltivare i pensieri
di D-i-o e a vivere il mistero dell'incarnazione scoprendo in pienezza il suo
essere pienamente uomo e il suo essere totalmente divino. Herrada di Landsberg/Hohenburg
percorre così i cammini nel Giardino delle delizie, non senza
comunicare a tutti noi la forza fascinosa del canto che sgorga dal suo cuore
nel ricapitolare la storia della salvezza Primus parens hominum ...
* * *
Nella storia della comunità cristiana grande rilevanza ha avuto la riflessione
su alcuni nodi cruciali dellesistenza del singolo credente e della Chiesa:
D-i-o, la persona umana, il cosmo, la vita e la morte... Alcuni tentativi sistematici
che riguardano esplicitamente D-i-o e la Chiesa sono stati elaborati in grandiose
costruzioni intellettuali che costituiscono il patrimonio della teologia cristiana.
Il solo pensiero razionale non esaurisce, tuttavia, la capacità interpretativa
e neppure la possibilità recettiva; altri linguaggi partono da una sfera
più profonda dellessere e giungono a vertici che la ragione, con
i soli circuiti logici, non riesce a raggiungere. Tra questi linguaggi la Chiesa
ha privilegiato nella sua esperienza mistica e profetica il silenzio e le espressioni
artistiche, in particolare, la musica.
* * *
Lindifferenza verso la musica sacra è tanto più biasimevole
in quanto tale atteggiamento nasconde di fatto un totale disinteresse nei confronti
della liturgia stessa.
* * *.
La musica nella liturgia mantiene sempre intatta la forza evocativa del proprio
linguaggio sonoro atto a sollecitare fondamentalmente unesperienza estetica:
la musica è bella e fa piacere ascoltarla. Ma ciò non è
tutto, e non è neppure la cosa più importante. Nella liturgia
la musica fa spazio a uno statuto del tutto particolare che le permette di trasfigurarsi,
di essere tuttaltra realtà: diviene preghiera. Come ogni altra
espressione dello spirito vuoi testi, vuoi immagini anche la musica
sottostà a una condizione necessaria per aver diritto di cittadinanza
allinterno della liturgia: tale condizione è lassumere lidentità
orante, essere preghiera. Il fatto non deve sorprendere più di tanto
e non è una mortificazione né per la musica in se stessa, né
per chi la pratica. È proprio della musica un mimetismo che riesce a
trasformarla, senza rinnegarla, ma facendole di volta in volta assumere significati
particolari. Due casi estremi: la musica quale dichiarazione di guerra nelle
marce militari oppure quale dichiarazione damore in alcuni stornelli e
Lieder. Il significato della comunicazione musicale è talmente
pregnante e forte che nessuno più pensa alla musica, ma si trova coinvolto
emotivamente in uno slancio offensivo oppure in un abbandono di passione amorosa.
Nella liturgia la musica è mediazione privilegiata nellincontro
tra D-i-o e luomo: è sacramento, cioè segno
sensibile e in qualche modo anche efficace della voce di D-i-o che giunge al
cuore umano; parimenti essa è balbettio attonito o grido esplosivo -
dincontenibile gioia, ma anche di sofferenza inaudita - con cui la fede
si rivolge a D-i-o. Tanto che se nella liturgia la musica non diviene reale
preghiera, rischia di essere un corpo estraneo, fuori luogo, degno soltanto
di essere espulso.
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Il linguaggio poetico della parola e del canto si muove nella
sfera dellintuizione e dellemotività profonda, non si lascia
imbrigliare da schemi, si espande in ambiti inediti, affronta il rischio dellincomprensione.
Agli occhi del teologo che spesso affronta il mistero con scandalosa
disinvoltura tale linguaggio ha, inoltre, un forte limite: è decisamente
frammentario. Può affascinare, ma subito rischia di deludere perché
non prosegue su un binario chiaro e distinto, abbandona quasi a se stesso colui
che ha intrapreso il cammino della ricerca e si è lasciato suggestionare
dalle scintille della poesia.
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Lautenticità dellesperienza liturgica non è confermata
dallaccoglienza entusiastica del momento, dalla folla che fa ressa intorno
allidolo del momento, anziano pontefice o giovane curato che sia. La liturgia
è autenticata dalla carità che si fa operosa nel nascondimento
ed è alimentata dal silenzio delladorazione. Silenzio da
cui è nato il canto gregoriano mille e più anni or sono, silenzio
che anche oggi è lunico spazio vitale in cui potrà prendere
corpo il nuovo canto per la liturgia di domani.
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Tra gli estremi del silenzio e della parola/pensiero articolato
cè una terza via privilegiata nellesperienza spirituale cristiana:
il balbettio mistico della preghiera che si fa poesia in musica o, se
si vuole, musica in poesia: sprazzi folgoranti che lasciano intravedere i punti
fermi di un cammino che sfocia nella contemplazione. Nulla di sistematico, nessuna
pretesa di esaurire l argomento. La poesia orante si libra
sulle ali del canto che ha la forza di incantare perché svela i colori
e le profondità recondite nascoste in una serie interminabile di espressioni.
* * *
Il silenzio è il linguaggio per eccellenza che permette di comunicare
le esperienze tanto profonde, uniche ed irripetibili, da essere letteralmente
indicibili. È il silenzio delle relazioni interpersonali più intense
dove le parole non riescono neppure ad affiorare tanto sono limitate ed estranee.
Un solo esempio: l'assistenza di un moribondo, quando la vita non ammette più
"scherzi", quando si raggiunge l'essenziale. Un silenzio amplificato
dallo sguardo, da una carezza, dallo stringere forte una mano inerte nell'ultimo
tentativo di trattenere la persona amata. Chi vive tali momenti, s'accorge che
il silenzio è dedizione e rispetto, è presenza eloquente pronta
ad intervenire con un gesto ed altrettanto pronta ad attendere nell'immobilità
del corpo quando il cuore corre e visita, per l'ultima volta, la vita tutta
dell'amato.
* * *
L'esperienza del silenzio nelle relazioni interpersonali è la
migliore scuola per imparare a reggere l'urto del silenzio di D-i-o: quando
si pretenderebbe una sua parola, un suo gesto, e Lui sembra lontano, indifferente,
assente, anche nella preghiera, anche nelle liturgie piene di canti. È
pure scuola dove s'impara a vivere alla presenza di D-i-o lasciando che Lui
legga il cuore senza frapporre il velo di tanti pensieri inutili, di tante parole
vuote.
* * *
Il silenzio è vero nella misura in cui annuncia il canto: la voce
dell'amato del Cantico dei cantici, le acclamazioni dell'Apocalisse, il grido
dei martiri, la melodia bisbigliata dalla mamma sul bimbo che si addormenta
nell'abbandono fiducioso e sereno.
* * *
Nel dialogo sponsale tra D-i-o e la Chiesa (cfr. SC 84) la Parola trova
nel canto la sua espressione più adeguata ad una precisa condizione:
è necessario che la musica scompaia dall'orizzonte nel momento stesso
in cui risuona e scuote il torpore spirituale dell'uditore che si apre all'ascolto
della Parola, non allammirazione del cantore o dei cori. Chi canta in
chiesa - sia egli un cantore del coro, sia egli un membro dell'assemblea - è
voce sacramentale di Cristo che ora sussurra, ora irrompe con forza nel
cuore in faticosa ricerca della salvezza.
* * *
Chi vive la fede cristiana saccorge come la Parola di D-i-o necessiti
di una mediazione che vada al di là della spiegazione filologica e dellapplicazione
moraleggiante. Percepire la voce di D-i-o nella sua Parola è unazione
del cuore in ascolto di quanto le parole della Bibbia non riescono a esprimere.
La musica è il linguaggio privilegiato del cuore: di D-i-o e delluomo.
Il canto gregoriano ha la forza di in-cantare, distogliere il cuore dalle pre-occupazioni
perché si dilati e si orienti a D-i-o nelladorazione e nel silenzio
attonito.
* * *
È vero che la musica deve avere precisi requisiti di armonica
strutturazione melodica e ritmica; è anche necessario che assemblea,
cantore solista ed eventuali coristi mettano tutto l'impegno per eseguire la
musica nel miglior modo possibile, fare del canto un momento d'incanto. Ma ciò
è soltanto un aspetto, secondario, della realtà musicale all'interno
della liturgia. La musica è sacra perché è ispirata dallo
Spirito e risuona quale voce che confida all'uomo i segreti reconditi di D-i-o:
nell'ascolto orante il silenzio intorno a chi cerca D-i-o si squarcia
e attraverso le note musicali viene dato di entrare in comunione con Cristo
nel susseguirsi ordinario della vita quotidiana sino ai limiti di esperienze
mistiche straordinarie. La lunghezza d'onda della musica nella liturgia non
è il piano psicologico né quello sociale, ma la vita nella comunione
trinitaria che permette di contemplare il Padre con il Figlio nella potenza
dello Spirito santo. È in forza di questa prospettiva che è legittimo
parlare anche oggi di musica "sacra".
* * *
La melodia liturgica prende corpo attraverso le note cantate, ma è ben
più di mera musica vocale. Il canto gregoriano è licona
sonora attraverso la quale D-i-o e la Chiesa parlano al cuore dei credenti nel
contesto ben preciso e articolato della celebrazione liturgica. Il canto, allora,
non può esaurirsi nella linea melodica e nel ritmo musicale, bensì
emerge progressivamente dalla comprensione esistenziale della Parola di D-i-o
che ha un suo ritmo, una sua dinamica. È la Parola che si espande in
un ampio respiro esigendo momenti di appoggio - scorrevole o attardato, leggero
o fortemente incisivo - che mettano in evidenza precisi vocaboli che costituiscono
il nucleo centrale e innovativo un vero euangelion della
proclamazione liturgica.
* * *
La liturgia è la scuola in cui s'impara a conoscere se stessi
e a riconoscersi come persona. Il che avviene confrontandosi con D-i-o
nella Chiesa e con la comunità sociale. Il senso dell'autocoscienza si
rivela nella qualità del rapportarsi agli altri. Nella misura in cui
ci si considera persona, si tratterranno anche gli altri come persone, si riconoscerà
la loro dignità indipendentemente da tanti aspetti decisamente accessori,
quali sono la religione professata o negata, il censo sociale, l'istruzione,
il colore della pelle e le abitudini emergenti, buone o cattive che siano. Davanti
alla "persona" di D-i-o non si può non riconoscere in se stessi
e negli altri che delle persone create a sua immagine e somiglianza.
* * *
La Chiesa in preghiera propone da secoli ormai a tutti i credenti più
o meno le stesse preghiere, le medesime rappresentazioni mentali di D-i-o e
del cristianesimo. Ciò non toglie che - alla scuola di Cassiano, di Origene,
di Gregorio Magno e di tante persone spirituali - la proposta ecclesiale continui
ad essere una provocazione che sfida l'individuo a prendere posizione, a scoprire
se stesso, tutta la sua persona con gli slanci di generosità e i rifiuti
meschini, la forza di affrontare i rischi e la pusillanimità della paura
paralizzante, i momenti di angoscia disperata e gli sprazzi incandescenti della
speranza senza nessun motivo tangibile.
* * *
Il canto gregoriano è quasi sempre Parola di D-i-o che diviene preghiera
della Chiesa, talora è parola della Chiesa che si rivolge a D-i-o. Il
respiro dei cantori si innesta sul soffio divino dello Spirito che al Padre
rivolge le parole del Figlio. Dopo aver accolta nella traditio liturgica
la Parola di D-i-o, la Chiesa, attraverso la voce dei cantori, vive la redditio
della stessa Parola carica di tutto lo spessore dellesperienza umana.
Di nuovo è la musica che infonde profondità alle parole e squarcia
i limiti del lemma o significato tecnico lessicale esprimendo con i suoni le
vibrazioni ineffabili che non riuscirebbero altrimenti a liberarsi dal cuore
umano. Anche in questa prospettiva i gemiti inesprimibili dello Spirito si intrecciano
con pensieri compiuti e rigorosamente logici, testi sillabici si alternano a
lunghi vocalizzi. La Parola di D-i-o i salmi in modo particolare
conducono la Chiesa orante nelle profondità della vita di fede e la guidano
in un incessante itinerario che porta alla scoperta del tempio interiore: qui
i canti troveranno uneco e potranno essere riconosciuti nelle melodie
gregoriane, Parola di D-i-o - preghiera delluomo.
* * *
Il mondo gregoriano, dai compositori sino agli esecutori, è del tutto
alieno da ogni forma di protagonismo. Nellatto compositivo si ricorre
spesso a materiale già presente nel repertorio (formule melodiche con
varie funzioni, segmenti centonici, strutture modali e melodie tipo) e si rispetta
con venerazione lo stile inconfondibile dei singoli brani. Non ci si meraviglierà
nel costatare che linventiva e limpronta personale che caratterizza
le melodie gregoriane non si sia sbizzarrita nel trovare cose sempre nuove ed
originali. Ci si muove in un clima di preghiera simile a quello che contraddistingue
i pii pittori intenti a dipingere le sacre icone: il vero maestro è colui
che sa coniugare, in modo eccellente, gli schemi tramandati dal passato con
la novità della propria esperienza personale.
* * *
La massima parte dei testi messi in musica nel repertorio gregoriano sono tratti
dalla Bibbia e, in larga misura, dal salterio. È Parola di D-i-o attualizzata,
assunta come preghiera da un popolo in cammino che si sente spesso stanco, appesantito
dalle fatiche e dalle delusioni. I testi dei canti non propongono enunciati
teologici elaborati concettualmente. Sono piuttosto dei balbettii che in modo
frammentario lasciano affiorare dal profondo del cuore ciò che la persona
vive nellabisso della propria esistenza, in quella camera recondita dove
è possibile incontrare D-i-o a Tu per tu. Il canto liturgico è
leco di tale incontro che lascia senza parole. Per tale motivo lorante
riprende le espressioni del salmista, le rivive nel giubilo e nella sofferenza,
nellangoscia e nella luce di una speranza rinnovata.
* * *
Può accadere che nel desiderio di prevenire lurto con la Parola
tumultuosa e insieme silenziosa di D-i-o, ci si armi di pensieri e di parole
alle quali si applica letichetta confortante di preghiera.
Si insiste con tale vociferare interno per riempire gli spazi interiori e non
lasciar posto alla Parola, in verità per difendersi da essa. È
una delle tante strategie umane con cui si distrugge la vita sul nascere pur
di non correre rischi. Il soffio divino potrebbe inebriarci con la sobrietà
della Parola, il seme divino potrebbe affondare le radici nel nostro cuore e
produrre frutti proibiti e inaccessibili ai mortali quali la verità,
la giustizia, lamore. Sì, è meglio non correre rischi e
lasciarsi cullare dal disimpegno del grigiore, trascinandosi da unabitudine
allaltra, senza imprevisti, senza lotta, senza luce. Abbandonarsi a D-i-o
è la scelta più facile e insieme la più difficile: facile
per chi ha il cuore innocente e puro e si lascia condurre dallo Spirito; opzione
difficile fino ad essere impossibile per chi vuole ad ogni costo imporre se
stesso agli altri e al TuttAltro, assolutizzando le proprie idee, facendosi
centro delluniverso verso cui tutti devono inchinarsi. È anche
il caso di tanti sforzi di imporre a D-i-o le nostre preghiere, tanto
nostre da non poter più elevarsi al di sopra di noi stessi. Nellitinerario
avventuroso della ricerca di D-i-o la Chiesa si fa guida del popolo cristiano
e propone giorno dopo giorno, ora dopo ora la Parola e conduce con mano lorante
a rivolgersi a D-i-o. Prima di tutto con il silenzio. Dopo ogni ascolto ci vuole
tempo per poter rendersi conto del cibo spirituale che si è appena accolto
e che occorre mandar giù nel profondo del cuore. Quale nettare vivificante
la Parola riscalda e illumina lesistenza, brucia letteralmente. Lungo
il suo tragitto interiore rimuove quanto nellintelligenza e nella fantasia,
nella sensibilità, nella volontà e nelle emozioni impedisce laccesso
della Parola. Finalmente D-i-o con la sua voce e il suo silenzio bussa alle
porte del cuore e la sua presenza sinfiltra in ogni spazio. Le pareti
dellanima riflettono questa presenza che si ripercuote ad ondate ricorrenti
in altrettanti silenzi e parole: eco della Parola divina. Questa rimane materialmente
la stessa, ma cambia nella sostanza. Non è più solo voce di D-i-o,
è anche preghiera delluomo.
* * *
Le categorie e la sensibilità estetiche nei confronti del canto gregoriano
vanno assunte e verificate partendo non dalla situazione personale del cantore/ascoltatore,
bensì dalla realtà mistica di questo repertorio. Ciò significa
che per comprendere ed apprezzare in modo adeguato il gregoriano è necessario,
come nellapproccio ad ogni espressìone darte, abbandonarvisì
senza nessuna pretesa aggressiva, mascherata abilmente dalla necessità,
ad esempio, di capire bene, analizzare nei particolari, dominare la materia.
Ma più importante dellabbandono che permette al canto di
illuminare le tenebre del cuore e di ridestare le fibre emotive profonde della
persona è la radicazione del cantore/ascoltatore nellazione
liturgica, nellevento di salvezza che si attualizza nella celebrazione.
A queste condizioni il canto gregoriano rivelerà progressivamente i suoi
contenuti che trascendono il mondo dei suoni musicali. Questi ultimi sono soltanto
leco delle melodie ineffabili del cuore e lanticipo di quellesperienza
unica dellimmedesimazione con il Verbo - Parola del Padre - che in pienezza
sarà vissuta nella gloria.
* * *
Lespulsione del gregoriano dalla liturgia ha favorito il diffondersi di
schiamazzi e sdolcinature che, al di là dellinconsistenza artistica,
non sono in grado di orientare i cuori a D-i-o. Il canto gregoriano è
certamente legato a una sensibilità del passato, ma è unopera
darte che trascende i confini del tempo e i condizionamenti delle culture.
A patto che lo si ascolti nellobbedienza della fede, con il cuore teso
a percepire la Parola di D-i-o, senza pretendere chissà quale piacere
estetico. Pronti a seguire Cristo nello spogliamento della Croce e nella sobria
ebbrezza dello Spirito.
* * *
Il concetto di partecipazione nel solo '900 ha avuto valenze notevolmente
differenziate a seconda del contesto teologico (ecclesiologico) e culturale
(antropologico) in cui è stato pensato ed elaborato. Spesso si sono contrapposte
in modo esasperato le dimensioni dell' "attivo" e del "passivo".
Ci si è dimenticati che l'essenza della partecipazione non sta in nessuno
di questi due atteggiamenti, bensì nell'accoglienza della vita di D-i-o
e nella partecipazione alla missione profetica, regale e sacerdotale di Cristo.
* * *
Sono emerse e continuano ad emergere posizioni aberranti, sostenute in nome
di una facile demagogia che periodicamente rivendica una democratizzazione liturgica
e un attivismo inconsistente ("tutti devono cantare tutto"). Non aiuta
a sbrogliare la matassa neppure la posizione esasperata di chi, arroccato su
affermazioni opposte ("nella liturgia sia ammesso soltanto il gregoriano
e le composizioni polifoniche di stile classico"), pretende di difendere
strenuamente la cosiddetta tradizione e non si accorge che invece le fa torto.
"Conservare et promovere" è il motto di un giusto atteggiamento
nei confronti della realtà liturgica e musicale (cfr. SC 114).
* * *
Attraverso momenti luminosi e altri opachi, la musica si è affermata
nella liturgia secondo due principi attinti ad ambiti che sempre occorre tenere
ben distinti. Sul versante musicale ciò che importa non sono le
forme e gli stili, bensì la bontà del linguaggio [= aderenza rigorosa
a una precisa grammatica e sintassi musicale] e la bellezza espressiva [= inalienabile
dimensione estetica]. Sul versante culturale la musica è santa,
cioè scelta per D-i-o, senza la contaminazione di quanto potrebbe contrastare,
opporsi o negare lesperienza spirituale che si è chiamati a vivere
nelle celebrazioni [= negazione di quanto oggi in questo preciso contesto sociale
allontana dalla Parola anche sul piano delle emozioni e delle associazioni libere].
Ogni epoca ha il diritto e il dovere di impegnarsi a fondo per offrire al popolo
di D-i-o una musica che abbia rispetto della tradizione e che nella faticosa
e gioiosa sofferenza del parto generi nuove melodie, nuovi timbri, nuove armonie.
* * *
Il canto e la musica sacra si relazionano alla liturgia in un preciso contesto
cultuale e con parametri che, a cerchi concentrici, abbracciano: il fatto sonoro,
le sue componenti antropologiche, la liturgia con le proprie strutture celebrative,
la realtà ecclesiale nella dinamica di un incessante confronto e colloquio
con D-i-o.
* * *
Il canto e anche il solo ascolto spirituale della musica
sacra introduce nel silenzio della preghiera, gli archi melodici innalzano
la volta del tempio interiore. La voce del cantore si dissolve; esile, la brezza
di Elia, si inizia ad avvertire la Parola.
* * *
Il canto nella celebrazione abbandona lo statuto musicale ed entra in
una economia del tutto diversa, quella della sfera mistica.
Detto senza mezzi termini, il canto nella liturgia non è musica, bensì
preghiera.
* * *
Il canto nella liturgia non è un optional che solletica
la curiosità; è una dimensione che segna nel profondo il cammino
di fede. È litinerario quotidiano che si percorre lasciandosi afferrare
da D-i-o in tutta la persona. Intelligenza ed emotività, razionalità
e fantasia, spirito e corpo sono percorsi dal fremito della fede che si ripercuote
nelle vibrazioni del canto che sale dal pozzo interiore per comunicarsi con
una melodia che rivela la corsa della Parola nella vita della singola persona
e della comunità intera.
* * *
Il canto gregoriano introduce alla comprensione di ogni momento liturgico che
proprio attraverso le melodie acquista un colore particolare ed esclusivo. Oggi
si è abituati a cantare nella liturgia ciò che piace o ciò
che si sa più o meno bene. Di rado i cantori partono dallazione
liturgica e dalla sua ben precisa articolazione per scegliere i canti. Purtroppo
questa situazione è favorita dalla subcultura musicale del popolo italiano
che lo Stato lascia nella più nera miseria culturale. Il risultato è
che per molte persone cantare è una cosa ardua, imparare un canto diviene
una tortura. Al di là della situazione contingente italiana, nel mondo
liturgico la rivoluzione degli ultimi decenni ha tolto il terreno musicale sotto
i singoli riti e i diversi momenti celebrativi. I pochi canti ben fatti e adeguati
alla liturgia servono concretamente in tante occasioni, travisando anche il
loro senso e la finalità originaria. A ciò si aggiunga la moda
del tutto che va bene sempre e si potrà ascoltare un canto
orecchiabile alla Messa e ai funerali e ai vespri. Fatti del genere, relativamente
frequenti, rivelano unestrema povertà musicale e, cosa ancora più
grave, una marcata insensibilità liturgica e spirituale. Il canto gregoriano
proprio in questo contesto ha una funzione unica: forma non tanto lorecchio
quanto piuttosto il cuore a percepire la molteplice ricchezza dei singoli momenti
celebrativi. Non soltanto Pasqua si differenzia da un giorno di avvento, ma,
anche allinterno della Messa, il momento dellintroito esige un atteggiamento
interiore diverso da quanto è richiesto alla liturgia della Parola e
al momento della comunione.
* * *
Nella scelta dei canti un criterio fondamentale, talora trascurato, non è
soltanto la verifica della qualità musicale in una prospettiva tecnica
compositiva, ma la congruenza del testo con la funzione del canto in questo
giorno liturgico, in una determinata azione, in un preciso momento. Il diffuso
analfabetismo musicale delle assemblee liturgiche italiane - colpa, questa,
da attribuirsi prevalentemente all'assurdo e infausto sistema scolastico - costituisce
un grave ostacolo alla scelta di un repertorio liturgico. È estremamente
difficile imparare nuovi brani e, di fatto, ci si trova costretti a cantare
alcuni pezzi in momenti del tutto diversi con funzioni contrastanti. È
ben nota la sciagura liturgica evidenziata, ad esempio, da Simbolo 77,
contro ogni intenzione dell'autore, Pierangelo Sequeri: per anni si è
ascoltato questo canto in ogni circostanza da Natale a Pentecoste, dall'inizio
della Messa alla conclusione dei vespri, da un matrimonio ad un funerale.
* * *
La realtà musicale del canto liturgico può anche vivere della
Parola di D-i-o senza che alcuna parola umana le faccia da supporto materiale.
La musica diventa allora puro suono in piena espansione che permette alla Parola
di risuonare senza essere limitata dalla comprensione razionale dei vocaboli.
È il caso dei melismi, le lunghe elaborazioni vocali che nascono da una
particolare esperienza di fede, scaturiscono dal cuore in preghiera e conducono
nelle profondità del pozzo interiore.
* * *
I melismi nella liturgia rispondono allesigenza di dar voce allinesprimibile
e ineffabile dellesperienza spirituale, quando il cuore, senza
pensieri articolati e senza nessuna parola, riesce rendere partecipi gli altri
della sua gioia. Il melisma, tuttavia, va considerato anche nella prospettiva
opposta, quale espressione di quanto D-i-o vuole comunicare alluomo oltrepassando
la mediazione delle parole. Esse da un lato chiariscono i contenuti di un messaggio,
ma nello stesso tempo lo limitano fortemente e rischiano di coartarlo e falsarlo.
Attraverso il melisma, D-i-o afferma la sua presenza e comunica al credente
quanto le parole e la stessa Parola biblica non è in grado di esprimere.
Il vocalizzo riconduce allesperienza del suono della voce anteriore al
discorso articolato. È voce pura, segno incontaminato della presenza
di un D-i-o che inizia il dialogo nel silenzio dove si richiede lapertura
totale del cuore e lattenzione viva della mente, nellascolto docile
che si fa obbedienza/accoglienza di fede.
* * *
Il melisma corre sullonda delladorazione gratuita.
È il momento musicale dove, più che mai, si manifesta un aspetto
paradossale del canto liturgico: esso è autentico nella misura in cui
non esiste più quale espressione musicale, ma diventa pura rivelazione
della Parola, comunione con D-i-o.
* * *
Canto di gioia, lExultet si rivela essenzialmente quale preghiera
di meditazione, di ascolto estatico dei mirabilia Dei. Un ascolto che
aiuta lorante ad aprire il proprio cuore per vivere nel presente (Hæc
nox) la salvezza sfolgorante di Cristo. In questa prospettiva non si dovrà
ricercare nella melodia degli Exsultet chissà quale artificio
tecnico, né si dovrà cedere alla tentazione razionalista di una
incessante novità espressiva. La ripetizione quasi ossessiva delle formule
melodiche permette alla musica stessa di sfocare progressivamente fino a lasciare
emergere in tutta la sua forza il testo e quanto il testo narra di D-i-o e delluomo.
* * *
La vocalità del canto liturgico è mistica perché,
genuinamente umana, comunica ciò che le parole non sono in grado di esprimere.
* * *
Nella liturgia non si canta per piacere alla gente. Si canta una Parola
che da sempre è spada a doppio taglio, brace ardente che purifica le
labbra, refrigerio e consolazione del cuore. Realizzare ciò con una voce
umana ha qualcosa di divino.
* * *
Il canto gregoriano ha da sempre accompagnato e animato dal profondo del cuore
la vita dei cantori. Ma i cantori a loro volta, con la propria voce e,
prima ancora, con il loro cuore illuminato dalla fede, hanno dato vita al canto.
* * *
Il cantore riesce a dare una calda fluidità alla propria voce
dopo resistenze e lotte interiori. Non per attenzione pedante alle sillabe e
alle parole - tale attenzione finirebbe soltanto con lo strozzare ed annullare
la Parola - ma nella sofferenza e per la coscienza della propria povertà
la voce balbetta, si frantuma nel pianto e svanisce nel silenzio per poi riprendere
vigore e slanciarsi nel grido gioioso dellalleluia. Impeto della voce
tonante e dolcezza di un suono che diviene guida nel cammino di fede.
* * *
Tutti, prima di cantare, imparano ad ascoltare. L'atteggiamento del cantore
non è l'imporre il proprio repertorio e gusto, ma saper accogliere
l'esperienza dell'altro, lasciarsi arricchire. Ciò giustifica il fatto
che, in alcuni momenti all'interno di una celebrazione ed in alcune occasioni
particolari, tutta l'assemblea si metta in religioso ascolto di un complesso
brano polifonico o di una semplice melodia gregoriana che soli possono offrirle,
a livello d'esperienza estetica e spirituale, quanto essa stessa non potrebbe
realizzare. L'iconoclasmo - con cui s'impedisce talora ogni presenza corale
polifonica o gregoriana in nome della partecipazione attiva del popolo
- è una tragica e ridicola menzogna. Certe fibre profonde dell'essere
possono iniziare a vibrare solo se sollecitate da alcuni brani musicali la cui
esecuzione trascende le possibilità dell'assemblea Il patrimonio tradizionale
è ricco di tali musiche che per secoli hanno veicolato un'esperienza
di fede e che anche oggi potrebbero incidere nella vita di una comunità.
L'impedire in modo assoluto che ciò si realizzi, è un'azione che
alla fine sottrae alla Chiesa in preghiera un bene su cui essa vanta legittimi
diritti. Nella comunità di fede si pratica il canto per dare sostanza
ai momenti di preghiera comunitaria più volte il giorno, nella Messa
e nelle ore che scandiscono il dì e la notte. Si trasmettono da maestro
a discepolo le antiche melodie, si compongono i pezzi per adeguare la liturgia
alle esigenze locali. Si è in permanente ricerca dellequilibrio
tra nova et vetera in un impegno che affianca il cantore al pittore delle
sacre icone. Non si cerca la propria affermazione, ma si mette la propria arte
a servizio della santificazione dei fratelli e della glorificazione del Padre
celeste.
* * *
Il silenzio orante non rende muti e sordi, bensì capaci di percepire
al di sopra del chiasso confusionario le voci importanti della vita. La solitudine
non rinchiude in una prigione egoistica lorante, ma dilata davanti a lui
i confini dellinfinito: di questo spazio illimitato damore il credente
si fa cantore.
* * *
Il canto gregoriano si afferma nella vita quotidiana delle comunità oranti
in quanto preghiera appassionata. Il canto prodotto dallapparato fonico
(lingua) nasce in realtà dal profondo del cuore, come afferma
un antico tropo dei monaci nonantolani: Lingua cor simul clamitet ad te pie
Christe. Ciò spiega come mai nella preghiera la musica debba dissolversi
per lasciare trasparire la realtà trascendente. Levento musicale
allinterno dellazione liturgica è tutto a servizio dellepifania
del Nome. Il fine della musica non è lintrattenimento sociale e
la gratificazione emotiva, bensì unesperienza di fede vissuta.
Al cantore gregoriano si richiede in primo luogo la capacità di pregare
in adorazione, nella dimenticanza del fatto musicale. Il detto evangelico essere
nel mondo senza essere del mondo può essere parafrasato con cantare
la musica senza fare musica.
* * *
Il cantore è tale perché diviene profeta e proprio perché
profeta è espropriato della sua voce. Nella liturgia non esprime in primo
luogo la propria cultura ed il proprio gusto: è portavoce e voce di D-i-o.
* * *
Limpegno del cantore è sempre rivolto in modo precipuo allintelligenza
spirituale della Parola di D-i-o proclamata sempre attraverso parole umane.
Uno dei problemi principali nella liturgia è quello di liberare la Parola
ispirata e permetterle di dire tutta se stessa, di essere percepita quale Parola
di D-i-o. La musica entra in questa dinamica e lievita i discorsi umani; emergono
significati reconditi e inediti del messaggio di D-i-o. Nellascolto orante,
in una profonda integrazione che la fede realizza tra razionalità intellettuale,
emotività profonda e intuizione, poco per volta il canto dischiude lincanto,
la Parola pronuncia lIndicibile, nel tempo risuona lEterno, lInvisibile
si rende visibile e tangibile. Il canto diviene per eccellenza licona
sonora che rende D-i-o presente nella storia quotidiana.
* * *
Alla scuola della Parola e immerso delladorazione quotidiana, il cantore
addestra il proprio cuore a percepire la realtà su una lunghezza
donda che non è limmediato né il successo né
il vantaggio personale. Ci si ritrova sviluppato un sesto senso per le cose
che più di altre si avvicinano alleternità e allinfinito,
a Lui. Se ne avverte il fascino, ci si lascia animare da esse con una dilatazione
progressiva dellintelligenza e del cuore.
* * *
Tra le attenzioni coltivate da un cantore liturgico ce ne sono alcune
che sembrano incontestabili, anzi, doverose: la disciplina che regola lordine
del gruppo corale, limpegno del singolo a imparare la propria parte, lo
sforzo di inserirsi nella compagine vocale grazie a una positiva e umile collaborazione
che sa equilibrare la potenza della voce, regolare la velocità e modulare
il timbro al fine di arricchire con il proprio contributo lesecuzione
del coro. Tutti questi aspetti sono validi, ma secondari. Lattenzione
primaria è la docilità allo Spirito. Chi canta nella liturgia
chiunque egli sia, un semplice fedele nella navata o un abile corista
sulla cantoria per il semplice fatto che canta si fa portavoce di un
messaggio spirituale. Di questa buona novella egli diviene mediatore e amplificatore:
mediatore con la propria voce, amplificatore nella vita. Levangelion
trasmesso è la Parola di D-i-o. Profeticamente essa viene annunciata
da chi canta con la stessa forza con cui è stata gridata o sussurrata
dai profeti dIsrael e della Nuova Alleanza: Giovanni Battista, Maria di
Nazareth e la schiera dei santi tutti che in Israel e nella Chiesa hanno accolto
e vissuto la Parola.
* * *
Una delle cause principali della totale inefficacia del canto liturgico,
incapace di destare o di ravvivare la fede, è che la musica nella liturgia
talora è vissuta come se fosse una cosa semplicemente nostra, di noi
cantori e musicisti di chiesa. Ci si accontenta di scegliere delle
melodie simpatiche, di eseguirle bene o anche solo con effetto,
di trovarsi in una confortevole compagnia di amici. Si canta perché si
trova gratificazione a livello emotivo, intellettuale, sociale. Attraverso i
testi destinati alla liturgia, e nonostante essi, si cantano la propria abilità
vocale e i propri sentimenti che lì per lì affiorano alla superficie.
Linefficacia spirituale del canto nella liturgia è la conseguenza
obbligata di un linguaggio che non è profetico perché non annuncia
la Parola di D-i-o, ma si riduce a farfugliare povere chiacchiere umane. È
necessario allora cantare meglio, cantare più testi biblici o dautentica
ispirazione religiosa? Sì! Occorre impegnarsi per cantare meglio ed è
saggio far sparire tanti testi mielosi lasciando di nuovo spazio alle frasi
consolatorie e taglienti delle Scritture. Ciò però è del
tutto inutile se non avviene nella scia di un cammino di fede in cui i cantori
siano impegnati su un altro versante: lascolto orante della Parola. Ascolto
che non può limitarsi a una frettolosa lettura, ma che consiste nel ruminare
la Parola e averla come guida fedele nellitinerario che conduce il credente
al cuore stesso di D-i-o.
* * *
La priorità nell'azione pastorale non va data alla musica né
al successo immediato che potrebbero avere gruppi improvvisati e pieni di buona
volontà. È necessario che i futuri cantori e musicisti di chiesa
approfondiscano la propria coscienza ecclesiale nella preghiera personale,
nell'adorazione silenziosa, nella lectio divina e nella partecipazione
appassionata alla liturgia comunitaria. Questa è la condizione che permette
di acquisire nel tempo una sensibilità liturgica che non è data
imparare dai libri. Nel silenzio dell'adorazione il cuore si apre all'accoglienza
dell'Altro e degli altri, riesce ad entrare in empatia spirituale con i membri
della comunità e con gli estranei di cui un musicista è comunque
portavoce presso D-i-o, dopo che D-i-o lo ha chiamato e inviato a proclamare
nel canto la sua Parola.
* * *
Il cantore si mette in preghiera lasciando che la Parola letta e deglutita
a piccole gocce, una goccia/versetto dopo laltra, raggiunga il profondo
del cuore, lo purifichi e lo rinnovi, lo illumini e lo dilati sino a trasformarlo
in unampia cassa armonica che permette alla Parola stessa di risuonare
e diffondersi. La Parola fa allora vibrare tutto lessere. Si è
percorsi da un brivido di fiamma damore che brucia le impurità
e risplende illuminando i passi del cammino quotidiano. Immobili ci si lancia
in una corsa sempre più incalzante verso D-i-o, nelle tenebre ci si lascia
condurre dalleco illuminante della Parola che riecheggia sul selciato
del tempo. Ci si smarrisce e ci si ritrova senza parole, senza pensieri, senza
nulla, ma proprio allora si è in grado di abbandonarsi alla guida della
Parola. Lo stupore delladorazione avvolge ora il cantore. Finalmente egli
sperimenta il silenzio che spalanca le porte alla lode. Canta, ma non è
più la sua voce che egli sente e che si sente in chiesa. Il suo canto
è la Parola profetica di Cristo che ancora oggi è via verità
e vita. Parola che ancora oggi ha la forza di spezzare le catene, infrangere
le abitudini, allargare gli spiragli per rendere presente nel cuore afflitto
una carezza damore, un alito di fede, un invito alla speranza.
* * *
Nella storia di una comunità semper reformanda, il cantore
è chiamato ad assumere le proprie responsabilità quale punto di
riferimento nella vita di fede della comunità. Il che significa che deve
essere estremamente attento alle provocazioni che gli giungono da parte di D-i-o,
della comunità e del mondo extra-ecclesiale. Occorre avere il coraggio
di rischiare sotto il tiro incrociato di quanti, per motivi assai diversi, non
sopportano di essere messi in discussione o soltanto infastiditi, paralizzati
e abbarbicati come sono alle proprie fragili convinzioni religiose e ai propri
parametri estetico-musicali. Sfondare il muro dellindifferenza grazie
al fascino spirituale del canto, può significare per lassemblea
liturgica linizio di altri recuperi non meno importanti nellitinerario
di fede.
* * *
Il cantore non si lascia né incantare da fantasmi seducenti né
spaventare da spettri terrificanti (moda, ignoranza, arroganza ...). Egli rimane
fedele allOpus Dei, a quanto D-i-o stesso opera nel cuore umano
ridestandolo alla fede, nella contemplazione estatica dei santi misteri,
nella condivisione della carità fraterna che è dono dello
Spirito di D-i-o e segno della sua presenza.
* * *
La liturgia è finita. Ognuno torna a casa. Il cantore non sa mai
se è stato mediatore dello Spirito o se ne ha intralciato la corsa gloriosa.
Con timore e tremore avverte la sua responsabilità, ma evita di spiare
con orgogliosa curiosità che cosa sta succedendo. Come langelo
dellannunciazione ha compiuto la sua missione. Ora deve solo ritrarsi
per rinnovare lascolto della Parola, denudare la propria fede, imboccare
la via del silenzio. Nella solitudine di una stanza o di una strada o di un
treno o di una prateria sconfinata sotto la volta del cielo che sorride ammiccando
con le stelle della notte: sempre e ovunque Tibi silentium laus.
* * *
Troppo spesso si sono visti crollare miti e si è scoperto, dietro alcune
facciate rispettabili, un cumulo di rovine: violenze perpetrate dall'ignoranza
e nell'arroganza, occasioni perdute per dilatare il regno di D-i-o soffocato
da impegni apparentemente più gratificanti. Non si possono dimenticare,
in campo musicale ed ecclesiale, episodi significativi quali il lentissimo ricupero
dell'organo giudicato giustamente dalle prime generazioni cristiane pompa
diabuli e la vergognosa piaga dei cantori evirati che per secoli
hanno sottolineato la degenerazione della liturgia ad intrattenimento popolare.
Quanto ieri sembrava inconcepibile, oggi è ovvio; quanto ieri era ovvio,
oggi fa semplicemente inorridire. Ciò che viviamo oggi, come sarà
giudicato domani?
* * *
La storia della musica sacra nei 2000 anni di vita ecclesiale è un monito
ad operare secondo il dettato evangelico - in primo luogo il Padre nostro
e le Beatitudini - e l'insegnamento sapienzale della tradizione. Per
il canto nella liturgia esiste da sempre un chiaro criterio di valutazione:
la gloria di D-i-o non il trionfo dei ministri scaduti a presuntuosi
esecutori e la santificazione dei fedeli - fratelli e discepoli di Cristo
crocifisso e risorto (cfr. SC nr. 112).
* * *
La musica non è un lusso elitario per pochi privilegiati o un addobbo
facoltativo in balìa della buona volontà di qualche melomane:
è parte integrante dell'esperienza della persona. Per questo motivo occorre
concentrare tutte le forze perché la musica trovi rispetto e degna cittadinanza
anche all'interno della Chiesa. Ci si impegna in questa missione quando se ne
comprende l'importanza, quando si sperimenta quanto la musica riesce a dire
al cuore umano nel "convertirlo" a D-i-o, quanto la musica aggreghi
gli animi e possa contribuire a saldare insieme una comunità che è
continuamente insidiata e dilaniata da correnti centrifughe e dispersive. Di
qui la necessità di un rinnovato impegno pastorale nella ricerca di nuovi
linguaggi musicali, nella ricostruzione dei cori parrocchiali, nel promuovere
il restauro degli organi storici e la costruzione di nuovi strumenti: tutto
nella custodia del passato con un occhio attento alle sollecitazione che aprono
il cammino verso il futuro.
* * *
Nellorizzonte liturgico attuale, un problema serio è lo spazio
che nelle celebrazioni è concesso oggi al gregoriano. Questo
repertorio paga le spese dovute a una grave miopia culturale. Il gregoriano
- si dice - sarebbe fuori moda, di altri tempi. Io non canto il gregoriano perché
mi sento un nostalgico del passato, ma soltanto perché oggi mi
aiuta a pregare. E il punto è proprio qui: la liturgia è
fondamentalmente un momento di preghiera che occorre disporsi a ricevere come
grazia da D-i-o, con timore e tremore, non alla ricerca di una qualche emozione
estetica, ma semplicemente alla ricerca di D-i-o, nellaccostarci alla
sua presenza, nellascoltare la sua voce, nel percepire il suo silenzio
che fa spazio nel nostro cuore. Secoli di esperienza spirituale nella Chiesa
hanno permesso a innumerevoli credenti di fare unesperienza di fede attraverso
il cantare e anche il solo ascoltare le melodie gregoriane. Perché privare
il popolo cristiano della Parola di D-i-o che costituisce lossatura testuale
della massima parte del repertorio gregoriano? Nella vita della Chiesa ci sono
senzaltro valide esperienze diverse, ma è assurdo in nome del pluralismo
culturale operare una riforma quella liturgica eliminando quanto
potrebbe alimentare la fede di tanti fratelli. Il vero problema non è
costituito dal gregoriano o da un altro e diverso repertorio musicale: il problema
reale è sapere che cosa sia lazione liturgica, che cosa fare per
viverla in unesperienza spirituale. Penso, ad esempio, alla formazione
del clero a partire dal seminario, penso alla regia di tante celebrazioni
che scimmiottano le mode dimenticando che chi sposa la moda oggi,. domani
è vedovo! (card. Suenens). In mezzo a tanta confusione, mentre
si ha limpressione che troppe cose vadano alla deriva, occorre afferrare
saldamente la Parola di D-i-o, riuscire a percepirne il significato mistico
che le melodie gregoriane aiutano a dischiudere. Preghiamo cantando e cantiamo
pregando. Il tempo stenderà un velo pietoso su quanto non è né
vero né bello, e lascerà risplendere la gloria vera che il gregoriano
riesce a diffondere nei cuori di chi, nel silenzio, si mette in ascolto: giorno
dopo giorno, senza nulla pretendere, ma con il cuore aperto come la mano dellaccattone
che tutto spera perché crede nel Benefattore che non disperde al vento
i suoi tesori.
(Giacomo Baroffio, Pentecoste 2005)
- tratto da: Re-tractationes liturgia in-canto, Lodi, Edizioni per la Cappella Musicale della Cattedrale 2005, pp. 82.
Per ulteriori approfondimenti:
Futuro prossimo della musica sacra in Italia